Mestre, 19 febbraio
1994
«Il
mare lo vedo in televisione, non ci torno più nemmeno se mi pagano a
peso d’oro». La storia è narrata dal Gazzettino del 3 febbraio
1970. A parlare è Ugo Freguia, lidense, unico superstite del
naufragio del cargo veneziano “Fusina”, avvenuto al largo di Capo
Sandalo, in Sardegna, la sera del 18 gennaio 1970. Oggi è il 19
febbraio 1994. Ed è Ugo Freguia, oggi mestrino, ad andare in
televisione. E’ stato contattato dalla trasmissione condotta da
Alessandro Cecchi Paone, che dà il “buongiorno” alle famiglie
italiane dagli studi di Rai Due. Sono passati ventiquattro anni, Ugo
Freguia, ha rotto qualsiasi legame con il mare. Abita con la moglie
e i figli in un appartamento in via Camporese, al Peep Bissuola, e
lavora all’agenzia marittima “Adriatica” dal 1971, dopo aver
trascorso un anno a casa per infortunio. Questa mattina, tra le 8 e
le 8,30, con l’aiuto dei giornali e dei filmati dell’epoca, Ugo
Freguia, ricorderà ancora una volta quella notte d’inferno.
Ricorderà i suoi 18 compagni che il mare sardo ha strappato alla
vita, l’immagine della morte che gli è apparsa in mezzo alle onde,
ricorderà le aule del tribunale, il riconoscimento dei cadaveri, la
disperazione dei parenti, la sua difficoltà a ricominciare da capo.
«Avevo 28 anni, e lavoravo come cameriere di bordo sulle piccole
navi mercantili della compagnia Sana di Mestre. Facevamo avanti e
indietro tra Porto Marghera e Porto Vesme, vicino a Cagliari, per
trasportare carichi di blenda, un minerale dal quale le industrie
Sava di Marghera ricavano il piombo. Il 16 gennaio 1970 era il mio
terzo viaggio. C’era un mare bestiale – racconta Ugo Freguia –
pioveva da una settimana, ma il comandante insistette per partire,
diceva che eravamo in ritardo. Partimmo, e appena oltrepassammo
l’isolotto di San Pietro, a circa 5 miglia dalla costa, il carico di
una stiva sbandò e la nave iniziò ad affondare. Salimmo tutti a
poppa, mi avvisò il cuoco, che fu trovato dopo alcune settimane
nello stretto di Messina. Le scialuppe se le portò via il mare, io
mi buttai ed iniziai a nuotare. Sono stato in acqua per almeno sei
ore, rigettando di continuo, ed è stata la mia salvezza. Raggiunsi
l’isolotto, mi arrampicai sugli scogli e mi rifugiai in uno chalet.
Non c’era nessuno in giro, mi sembrava di essere sulla luna, e solo
due giorni dopo, riuscii a recuperare un po’ di forze e a
raggiungere la casa di un pastore, che mi accompagnò in Capitaneria.
Nessuno sapeva nulla di ciò che era successo». Poi il
riconoscimento dei cadaveri, il processo e tutto il resto. Ugo
Freguia non ha ricevuto nemmeno una lira di risarcimento, gli
«basta aver portato la pellaccia a casa».
F.C.
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