Secondo una notizia di stampa il consiglio comunale di Chioggia
avrebbe chiesto al governo di promuovere una severa inchiesta
sull’affondamento della motonave «Fusina» al preciso scopo di
identificare e punire i responsabili del tragico avvenimento.
La richiesta dell’autorità municipale della cittadina veneta che
conserva una antichissima tradizione marinara e che quindi ha
coscienza di ciò che vuol dire vivere ed operare sul mare e che
purtroppo annovera il maggior numero di scomparsi fra gli uomini
dell’equipaggio della nave, è perfettamente giustificabile ove ci si
soffermi a considerare l’angoscia di coloro che al dolore della
perdita così improvvisa e così tragica aggiungono l’umano tormento
di un dubbio che può sorgere dalle circostanze stesse del naufragio.
Le condizioni del tempo quella sera in cui avvenne la perdita quasi
improvvisa della «Fusina», non erano affatto proibitive almeno da
quanto e stato dichiarato e non smentito: un po’ di vento e un po’
di mare, ma nulla di minaccioso che potesse costituire ostacolo alla
navigazione.
Nonostante ciò, dopo poche ore della partenza dal porto di
caricazione - la visibilità risulta fosse buona - la motonave sbanda
con un angolo sempre più accentuato poi si capovolge e affonda
trascinando con sé l’equipaggio che, salvo il cameriere, non riesce
a salvarsi.
Cosa può essere successo a bordo della motonave per provocare una
perdita così repentina?
Le dichiarazioni del superstite sono vaghe: d’altra parte la sua
qualifica di bordo escluderebbe una esperienza specifica sufficiente
per la precisazione di particolari che potrebbero essere importanti
per una ricostruzione dei fatti: inoltre sembra che l’uomo già
dormisse in cuccetta e che sia stato svegliato da rumori insoliti e
dai richiami concitati degli uomini dell’equipaggio ormai consci
della posizione pericolosa della nave.
Se ne dovrebbe quindi dedurre che quando egli si gettò in mare era
all’oscuro di quanto stava accadendo e che fatalmente aumentava
l’angolo di sbandamento.
La «Fusina» aveva caricato, si può supporre data la sua stazza
lorda, quattromila tonnellate di zinco circa: è stato scritto,
purtroppo, che una delle cause del disastro potrebbe essere stato lo
«scorrimento» del carico anche a causa del movimento ondoso e a
questo proposito si può tranquillamente affermare che l’ignoranza
nostra in cose di mare è piuttosto larga e preoccupante.
Il minerale di zingo, come tutti i minerali ha la caratteristica di
essere pesante: il suo peso specifico varia da 3,9 a 4,1 il che vuol
dire che occupa poco volume e per quanto riguarda il suo ingombro
nelle stive non richiede operazioni di stivaggio.
La sua pesantezza lo rende compatto ed è quasi impensabile che
possa, anche in movimento lento, scivolare da una parte o dall’altra
delle stive modificando, a causa del rollio, quell’assetto di
stabilità che doveva sussistere al termine della caricazione;
stabilità che ha una precisa legge per la quale il punto
metacentrico deve trovarsi sempre al di sopra del centro di gravità.
Se questa condizione dovesse variare per spostamenti di pesi nelle
stive si potrebbe verificare quello sbandamento che accentuandosi
man mano provocherebbe inevitabilmente il rovesciamento della nave.
I casi di scorrimento del carico nelle stive possono verificarsi con
determinate merci come i cereali in genere ove non siano osservate
le norme particolari che esistono per convenzioni internazionali, o
con le cosiddette «varie» per difetto di stivaggio o errato
calcolo di sistemazione del carico tra stive e corridoi il che
peraltro è molto raro.
Quindi si può escludere a priori che la motonave possa essere
affondata per lo spostamento del minerale: un rappresentante della
società armatrice avrebbe avanzato l’ipotesi che il minerale, forse
di recente estrazione, potesse conservare dell’acqua che
accumulandosi poi in fondo alla stiva avrebbe determinato lo
sbandamento che accentuandosi sarebbe stato, come già detto, la
causa del rovesciamento.
L’ipotesi è piuttosto azzardata perché anche ammessa la presenza di
un po’ d’acqua nel minerale questa sarebbe colata in quantità
notevole dalle «benne» nel movimento della mancina dai cumuli ai
boccaporti: il poco che ne poteva residuare sarebbe ristagnato in
fondo stiva.
E allora può essere chiesto, perché la motonave «Fusina» è
affondata?
Fu forse caricata oltre misura, oltre la sua portata normale o per
dirla in linguaggio più marinaresco «sotto la marca»?.
E’ inammissibile perché nessun capitano, anche il più zelante nei
confronti degli interessi dei suoi armatori, si metterebbe nelle
condizioni di appesantire la nave sino al punto di perderla.
Oltre tutto sarebbe un incosciente perché non solo metterebbe in
gioco la vita del suo equipaggio ma anche la propria.
Ad ogni modo al punto di caricazione agli inquirenti sarà ben dato
di controllare il carico consegnato.
La motonave era relativamente non vecchia di costruzione; è stato
detto che nello scorso anno era stata immessa in bacino per lavori e
quindi evidentemente sottoposta a visita dei periti;
non è pensabile di conseguenza che potesse trascinare delle
«magagne» di tali entità da provocare un cedimento di qualche
struttura e quindi una «falla» sufficiente a creare lo sbandamento
e il rovesciamento.
Sembra, secondo quanto è stato comunicato dalla stessa autorità
marittima, che uno scafo sarebbe stato individuato a poche miglia
dalla costa di Carloforte a circa settanta metri di profondità;
potrebbe verosimilmente essere lo scafo della motonave scomparsa.
Se così fosse, non sarebbe impossibile ad un personale specializzato
giungere ad un accertamento che risolva il doloroso dubbio che può
preoccupare e che alimenta commenti non sempre obiettivi.
Ma il mare è anche crudele: travolge e nei suoi abissi nasconde il
segreto della tragedia di un pugno di uomini avvinghiati all’ultima
speranza che s’infrange nel rotolio dell’onda che non ha clemenza: è
stato sempre così nella storia della marineria, una storia eroica di
generazioni e generazioni che al mare consegnarono la loro esistenza
di sacrificio a volte spezzato dal Fato.
Nino Viganò
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