A
colloquio con il sindaco di Chioggia Michele Bighin reduce dal
viaggio in Sardegna sui luoghi della tragedia del «Fusina».
- Quale accoglienza ha ricevuto?
«Ho avuto da tutti commoventi manifestazioni di solidarietà per il
lutto che ha colpito Chioggia e ho potuto constatare che enti
pubblici e privati, militari e civili, gareggiavano nella pietosa
opera di ricerca degli scomparsi lungo una vasta inaccessibile zona
rocciosa che impressiona solo a guardarla.
Mi sono recato nelle isole minori facendo tappa a Sant’Antioco ed a
Carloforte, centro sito nell’isoletta di S. Pietro.
Mentre sbarcavo dal traghetto ho assistito all’arrivo di un cadavere
appena portato a riva da pescatori.
Alla sua identificazione hanno provveduto più tardi all’obitorio
Freguia, il superstite, e l’armatore De Simone.
Era la salma di Giordano Voltolina che era stata raccolta in mare da
un mezzo della marina militare».
I cadaveri sono stati ritrovati lontano o vicino alla riva?
«Qualche salma galleggiava al largo ma in prevalenza il mare agitato
aveva spinto, quella terribile notte, la maggior parte dei naufraghi
contro le coste cosparse di rientranze, di sporgenze e di strette
gallerie ove potevano addentrarsi soltanto leggerissimi navigli.
Si ritiene che molti marinai siano morti per mancanza di soccorsi
appena toccata terra, altri per l’impossibilità di scalare i picchi
sul mare.
Con le autorità e la gente del luogo abbiamo parlato anche delle
difficoltà delle trasmissioni radiotelegrafiche e telefoniche per i
cosiddetti «coni» d’ombra e della necessità impellente di dover
installare a Sant’Antioco o a Sant’Andrea un ripetitore elettrico.
In tutti i casi l’affondamento del «Fusina», per le circostanze di
tempo e di luogo nelle quali si è verificato, ha lasciato perplessi
i tecnici».
Articolo non firmato,
corredato della foto del sindaco di Chioggia, avv. Bighin |