Carloforte,
19 gennaio
A
Carloforte si parla genovese, un genovese con particolari
inflessioni, che sta a metà tra l’autentico dialetto di Portoria e
quello pegliese.
Ieri sera sul molo, sembrava di essere a Genova. C’era mezzo paese.
Uomini, donne, vecchi e bambini.
I discorsi si intrecciavano, i «si dice», gli «hanno comunicato»
lasciavano il posto a mano a mano che il tempo trascorreva, alla più
disperata rassegnazione.
Per i diciotto uomini, componenti l’equipaggio del mercantile
«Fusina», inabissatosi venerdì, alle 22.30, lasciando un solo
superstite (Ugo Freguja, cameriere di bordo, 28 anni, di Venezia)
non vi era più speranza.
44 ore dopo
Il
sinistro era avvenuto non lungi dal grazioso porto dei «genovesi»
di Sardegna: al largo di Capo Gallo, a circa due miglia a nord
dell’isola di San Pietro.
Gli uomini del «Fusina» (2706 tonnellate di stazza, compartimento
di Venezia) hanno chiesto ripetutamente aiuto, con SOS e razzi
luminosi, ma le loro richieste di soccorso non sono state né captate
né viste.
Un tragico destino ha giocato nel dramma dei diciannove uomini una
parte determinante.
Non solo i segnali d’aiuto sono rimasti ignorati, ma l’unico
superstite, Ugo Freguja, a causa di una sua profonda crisi fisica,
ha dato notizia del dramma che si era svolto nelle acque sarde,
soltanto quarantaquattr’ore dopo l’affondamento del mercantile.
Questi i fatti nella loro tragica sequenza: un pescatore di
Carloforte, Giacomo Prefumo di 61 anni, che era sceso, poco dopo
l’alba di sabato sul piccolo litorale, chiamato «Calavinagra» per
riordinare reti e barca, vide ad un tratto, una forma umana inerte,
sulla riva.
Prefumo credette, sul momento, di trovarsi dinanzi ad un disperato
che aveva tentato il suicidio e soccorse l’uomo.
Lo aiutò a sollevarsi e lo ricoverò nella propria abitazione a pochi
metri dalla spiaggia.
Gli diede cibo, un maglione e un paio di pantaloni asciutti e poiché
Ugo Freguja continuava a muoversi come un automa, con gli occhi
sbarrati e appariva in preda a una profonda stanchezza, lo adagiò su
un piccolo letto di ferro.
L’uomo piombava, all’istante, senza mai aver pronunciato, nel
frattempo, una sola parola, in un sonno profondissimo, durato fino a
domenica sera alle 18, ossia fino a 44 ore dalla sciagura.
Solo allora Freguja, svegliatosi e tornato, in sé, urlava con frasi
disperate al sorpreso pescatore di Carloforte, ciò che in realtà due
giorni prima era accaduto.
Dato immediatamente l’allarme al compartimento marittimo le ricerche
avevano inizio, ma con esito totalmente negativo.
Ed oggi il mare ha cominciato a restituire i cadaveri.
«Urlavano
tutti»
«Stavo dormendo nella mia cuccetta - ha raccontato alle autorità il
giovane cameriere veneto - quando un compagno mi ha svegliato di
soprassalto, gridando che stavamo affondando.
Mi sono precipitato sopra coperta e ho visto i miei compagni che con
il comandante tentavano di calare in mare le scialuppe di
salvataggio, ma l’inclinazione era troppo forte.
Sono stati momenti terribili, poi il comandante ha dato l’ordine di
abbandonare la nave.
Ho sentito urlare che ci trovavamo a venti miglia da Capo Sandalo,
tra le due isole di San Pietro e Sant’Antioco, poi qualcun altro ha
smentito, tutti gridavano, imploravano aiuto, il caos era generale.
Ho visto i primi uomini lanciarsi e non ho perso tempo; mi sono
gettato anch’io e ho nuotato lungamente, disperatamente, cercando di
allontanarmi più che potevo dal «Fusina» per evitare il risucchio
dell’affondamento.
Ho nuotato per tutta la notte in un mare tempestoso e alle prime
luci ho visto in lontananza la terra: ero giunto allo stremo delle
forze.
Non riuscivo più a trarre le braccia fuori dall’acqua, ma il terrore
della morte mi ha dato ancora forza e sono riuscito a raggiungere la
riva.
Quando ho sentito sotto i miei piedi la terra, ho arrancato ancora
pochi passi, sino a raggiungere la riva, poi sono svenuto».
In breve tutta Carloforte ha conosciuto il quasi incredibile
racconto del naufrago e la popolazione si è riversata sulla
spiaggia.
Questa gente che vive del mare e per il mare aveva segnata stasera
sui volti l’ansia e la disperazione della lunga inutile attesa.
Le onde non hanno restituito nessun’altra vita.
Solo quattro cadaveri ripescati dalle navi che incrociano tra Capo
Sandalo e Capo Gallo.
Ormai è completamente sicuro che la tragedia del «Fusina» è
costata diciotto morti e che solo Ugo Freguja è l’unico superstite.
Le ricerche sono proseguite fino al tramonto e riprenderanno domani
all’alba nella speranza di strappare al mare almeno le salme degli
uomini che ha inghiottito venerdì notte con la nave sulla quale si
trovavano.
Non è neppure certo che questi sforzi abbiano successo o almeno
successo completo.
Si ritiene infatti probabile che una parte dell’equipaggio sia
rimasto prigioniero nello scafo o che alcuni marittimi possano
essere stati risucchiati sul fondo quando il «Fusina» si è
inabissato dopo un’agonia durata circa un’ora, durante la quale
inutilmente dal mercantile sono stati lanciati disperati «SOS» e
razzi luminosi che nessuno ha raccolto o veduto.
Lo
sbandamento
Una particolareggiata ricostruzione della spaventosa tragedia ha
permesso, infatti, di appurare che il «Fusina» non è affondato
improvvisamente, come in un primo momento si era creduto.
Ugo Freguja ha precisato che due «SOS» sono stati lanciati quando
il mercantile, per uno sbandamento del carico, si è inclinato.
Purtroppo i richiami di soccorso non sono stati raccolti dal centro
radio di Campumannu, probabilmente per il fatto che il mercantile
navigava in una zona d’ombra per le comunicazioni radio, per le
quali le masse rocciose delle isole e delle montagne del Sulcis,
assorbono l’energia magnetica, impedendo la ricezione dei segnali.
Il comandante ha anche cercato di segnalare la posizione della nave
con razzi luminosi che purtroppo dalla costa, data anche l’ora,
nessuno ha veduto.
Per un’ora sul mercantile si è lottato disperatamente per riuscire a
mettere in mare le scialuppe di salvataggio, ma l’inclinatura dello
scafo ha reso vano qualsiasi tentativo.
A questo punto il capitano ha ordinato all’equipaggio di infilarsi i
salvagente e gettarsi in acqua per raggiungere la costa.
Una parte dei marinai ha obbedito all’ordine, ma a terra è arrivato
solo Ugo Freguja.
Gli altri sono stati inghiottiti dai marosi o risucchiati al momento
dell’affondamento.
Stasera l’unico superstite ha ripetuto il suo racconto, aggiungendo
nuovi particolari su questo dramma del mare.
«Il "Fusina", partito poco dopo le ventuno da porto Vesme, con un
carico di blenda diretto allo stabilimento della Montedison di Porto
Marghera, si trovava in navigazione tra capo Sandalo e capo Gallo,
in vista della costa di Carloforte.
Il mare era mosso, ma non in misura tale da far temere per la
sicurezza del mercantile.
D’improvviso, fra le 22.30 e le 23, il disastroso spostamento del
pesante carico di minerale nella stiva.
Freguja ha parlato di un violento colpo di mare, ma le autorità
marittime non escludono che l’urto contro qualche scoglio sia stato
la vera causa dello sbandamento, in seguito al quale la nave si è
inclinata paurosamente, assumendo una posizione che lasciava
presagire il peggio ad un marinaio esperto, quale Mario Catena, il
comandante.
A bordo si è scatenato il finimondo, le strutture scricchiolavano;
ci sono state scene di panico, a stento il capitano ha ristabilito
l’ordine.
«Abbiamo capito che non c’era più nulla da fare» ha riferito
Freguja.
«Abbiamo tentato di ricorrere alle scialuppe di salvataggio».
Sforzi sempre più febbrili, ma non per questo meno vani, durati per
circa un’ora.
Mario Catena ha tentato di dare l’allarme a terra, lanciando alcuni
razzi luminosi.
Lanciati i razzi senza risultato, sulla «Fusina» è cominciata la
tragica agonia.
Il comandante ha dato l’ordine agli uomini di infilarsi i salvagente
e di gettarsi in mare per tentare di raggiungere a nuoto la costa.
Due marinai hanno subito obbedito: il terzo a gettarsi nelle acque
gelide è stato Ugo Freguja:«Ho sentito delle urla degli altri
compagni vicino a me e uno di questi era il marinaio Ballarin.
Il capitano l’ho visto per l’ultima volta in coperta prima che
sparisse dalla vista.
Ho cominciato a nuotare in fretta per allontanarmi dalla nave;
sentivo ancora le voci».
Sono trascorsi ancora alcuni minuti, poi intorno al naufrago si è
fatto un terribile silenzio.
Ha continuato a nuotare, ma senza che nessuno dei compagni lo
seguisse.
Cosa sia accaduto mentre Freguja si allontanava a grandi bracciate,
nel mare buio, è facilmente comprensibile.
Una parte dei marinai è rimasta a bordo, tentando sino all’ultimo di
servirsi delle scialuppe e presumibilmente sono stati sorpresi in
questo atteggiamento quando la nave, impennatasi di colpo, è sparita
inabissandosi.
Chi era a bordo è rimasto prigioniero nello scafo o è stato
risucchiato sul fondo assieme ai marinai che ancora nuotavano
attorno al mercantile.
L’allucinante tragedia si è così compiuta silenziosamente,
stroncando diciotto vite.
Le ricerche vere e proprie sono cominciate questa mattina.
Verso le 9.30, dopo una segnalazione dell’aereo e dell’elicottero,
sono state recuperate dalla motovedetta due salme ed altrettante
sono state ripescate dall’«Altair» e dall’«Atleta».
All’imbrunare le unità sono rientrate a Carloforte dove le salme
sono state composte nell’obitorio.
Nel pomeriggio tre dei corpi senza vita sono stati identificati, si
tratta di Giorgio Renier, direttore di macchina, il nostromo Duilio
Padovan e il meccanico di bordo Francesco Ravalico, di Trieste.
Amilcare Nave |