A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 08

IL SECOLO XIX
martedì 20 gennaio 1970

Affondato al largo della Sardegna un mercantile italiano

Il mistero del «Fusina»
Per un cumulo di avverse circostanze i disperati SOS non hanno potuto essere captati -
Il drammatico racconto dell’unico superstite che ha nuotato tutta la notte -
Quattro salme recuperate e quattordici dispersi - Le ricerche proseguono

Carloforte, 19 gennaio

A Carloforte si parla genovese, un genovese con particolari inflessioni, che sta a metà tra l’autentico dialetto di Portoria e quello pegliese.

Ieri sera sul molo, sembrava di essere a Genova. C’era mezzo paese.

Uomini, donne, vecchi e bambini.

I discorsi si intrecciavano, i «si dice», gli «hanno comunicato» lasciavano il posto a mano a mano che il tempo trascorreva, alla più disperata rassegnazione.

Per i diciotto uomini, componenti l’equipaggio del mercantile «Fusina», inabissatosi venerdì, alle 22.30, lasciando un solo superstite (Ugo Freguja, cameriere di bordo, 28 anni, di Venezia) non vi era più speranza.

44 ore dopo

Il sinistro era avvenuto non lungi dal grazioso porto dei «genovesi» di Sardegna: al largo di Capo Gallo, a circa due miglia a nord dell’isola di San Pietro.

Gli uomini del «Fusina» (2706 tonnellate di stazza, compartimento di Venezia) hanno chiesto ripetutamente aiuto, con SOS e razzi luminosi, ma le loro richieste di soccorso non sono state né captate né viste.

Un tragico destino ha giocato nel dramma dei diciannove uomini una parte determinante.

Non solo i segnali d’aiuto sono rimasti ignorati, ma l’unico superstite, Ugo Freguja, a causa di una sua profonda crisi fisica, ha dato notizia del dramma che si era svolto nelle acque sarde, soltanto quarantaquattr’ore dopo l’affondamento del mercantile.

Questi i fatti nella loro tragica sequenza: un pescatore di Carloforte, Giacomo Prefumo di 61 anni, che era sceso, poco dopo l’alba di sabato sul piccolo litorale, chiamato «Calavinagra» per riordinare reti e barca, vide ad un tratto, una forma umana inerte, sulla riva.

Prefumo credette, sul momento, di trovarsi dinanzi ad un disperato che aveva tentato il suicidio e soccorse l’uomo.

Lo aiutò a sollevarsi e lo ricoverò nella propria abitazione a pochi metri dalla spiaggia.

Gli diede cibo, un maglione e un paio di pantaloni asciutti e poiché Ugo Freguja continuava a muoversi come un automa, con gli occhi sbarrati e appariva in preda a una profonda stanchezza, lo adagiò su un piccolo letto di ferro.

L’uomo piombava, all’istante, senza mai aver pronunciato, nel frattempo, una sola parola, in un sonno profondissimo, durato fino a domenica sera alle 18, ossia fino a 44 ore dalla sciagura.

Solo allora Freguja, svegliatosi e tornato, in sé, urlava con frasi disperate al sorpreso pescatore di Carloforte, ciò che in realtà due giorni prima era accaduto.

Dato immediatamente l’allarme al compartimento marittimo le ricerche avevano inizio, ma con esito totalmente negativo.

Ed oggi il mare ha cominciato a restituire i cadaveri.

«Urlavano tutti»

«Stavo dormendo nella mia cuccetta - ha raccontato alle autorità il giovane cameriere veneto - quando un compagno mi ha svegliato di soprassalto, gridando che stavamo affondando.

Mi sono precipitato sopra coperta e ho visto i miei compagni che con il comandante tentavano di calare in mare le scialuppe di salvataggio, ma l’inclinazione era troppo forte.

Sono stati momenti terribili, poi il comandante ha dato l’ordine di abbandonare la nave.

Ho sentito urlare che ci trovavamo a venti miglia da Capo Sandalo, tra le due isole di San Pietro e Sant’Antioco, poi qualcun altro ha smentito, tutti gridavano, imploravano aiuto, il caos era generale.

Ho visto i primi uomini lanciarsi e non ho perso tempo; mi sono gettato anch’io e ho nuotato lungamente, disperatamente, cercando di allontanarmi più che potevo dal «Fusina» per evitare il risucchio dell’affondamento.

Ho nuotato per tutta la notte in un mare tempestoso e alle prime luci ho visto in lontananza la terra: ero giunto allo stremo delle forze.

Non riuscivo più a trarre le braccia fuori dall’acqua, ma il terrore della morte mi ha dato ancora forza e sono riuscito a raggiungere la riva.

Quando ho sentito sotto i miei piedi la terra, ho arrancato ancora pochi passi, sino a raggiungere la riva, poi sono svenuto».

In breve tutta Carloforte ha conosciuto il quasi incredibile racconto del naufrago e la popolazione si è riversata sulla spiaggia.

Questa gente che vive del mare e per il mare aveva segnata stasera sui volti l’ansia e la disperazione della lunga inutile attesa.

Le onde non hanno restituito nessun’altra vita.

Solo quattro cadaveri ripescati dalle navi che incrociano tra Capo Sandalo e Capo Gallo.

Ormai è completamente sicuro che la tragedia del «Fusina» è costata diciotto morti e che solo Ugo Freguja è l’unico superstite.

Le ricerche sono proseguite fino al tramonto e riprenderanno domani all’alba nella speranza di strappare al mare almeno le salme degli uomini che ha inghiottito venerdì notte con la nave sulla quale si trovavano.

Non è neppure certo che questi sforzi abbiano successo o almeno successo completo.

Si ritiene infatti probabile che una parte dell’equipaggio sia rimasto prigioniero nello scafo o che alcuni marittimi possano essere stati risucchiati sul fondo quando il «Fusina» si è inabissato dopo un’agonia durata circa un’ora, durante la quale inutilmente dal mercantile sono stati lanciati disperati «SOS» e razzi luminosi che nessuno ha raccolto o veduto.

Lo sbandamento

Una particolareggiata ricostruzione della spaventosa tragedia ha permesso, infatti, di appurare che il «Fusina» non è affondato improvvisamente, come in un primo momento si era creduto.

Ugo Freguja ha precisato che due «SOS» sono stati lanciati quando il mercantile, per uno sbandamento del carico, si è inclinato.

Purtroppo i richiami di soccorso non sono stati raccolti dal centro radio di Campumannu, probabilmente per il fatto che il mercantile navigava in una zona d’ombra per le comunicazioni radio, per le quali le masse rocciose delle isole e delle montagne del Sulcis, assorbono l’energia magnetica, impedendo la ricezione dei segnali.

Il comandante ha anche cercato di segnalare la posizione della nave con razzi luminosi che purtroppo dalla costa, data anche l’ora, nessuno ha veduto.

Per un’ora sul mercantile si è lottato disperatamente per riuscire a mettere in mare le scialuppe di salvataggio, ma l’inclinatura dello scafo ha reso vano qualsiasi tentativo.

A questo punto il capitano ha ordinato all’equipaggio di infilarsi i salvagente e gettarsi in acqua per raggiungere la costa.

Una parte dei marinai ha obbedito all’ordine, ma a terra è arrivato solo Ugo Freguja.

Gli altri sono stati inghiottiti dai marosi o risucchiati al momento dell’affondamento.

Stasera l’unico superstite ha ripetuto il suo racconto, aggiungendo nuovi particolari su questo dramma del mare.

«Il "Fusina", partito poco dopo le ventuno da porto Vesme, con un carico di blenda diretto allo stabilimento della Montedison di Porto Marghera, si trovava in navigazione tra capo Sandalo e capo Gallo, in vista della costa di Carloforte.

Il mare era mosso, ma non in misura tale da far temere per la sicurezza del mercantile.

D’improvviso, fra le 22.30 e le 23, il disastroso spostamento del pesante carico di minerale nella stiva.

Freguja ha parlato di un violento colpo di mare, ma le autorità marittime non escludono che l’urto contro qualche scoglio sia stato la vera causa dello sbandamento, in seguito al quale la nave si è inclinata paurosamente, assumendo una posizione che lasciava presagire il peggio ad un marinaio esperto, quale Mario Catena, il comandante.

A bordo si è scatenato il finimondo, le strutture scricchiolavano; ci sono state scene di panico, a stento il capitano ha ristabilito l’ordine.

«Abbiamo capito che non c’era più nulla da fare» ha riferito Freguja.

«Abbiamo tentato di ricorrere alle scialuppe di salvataggio».

Sforzi sempre più febbrili, ma non per questo meno vani, durati per circa un’ora.

Mario Catena ha tentato di dare l’allarme a terra, lanciando alcuni razzi luminosi.

Lanciati i razzi senza risultato, sulla «Fusina» è cominciata la tragica agonia.

Il comandante ha dato l’ordine agli uomini di infilarsi i salvagente e di gettarsi in mare per tentare di raggiungere a nuoto la costa.

Due marinai hanno subito obbedito: il terzo a gettarsi nelle acque gelide è stato Ugo Freguja:«Ho sentito delle urla degli altri compagni vicino a me e uno di questi era il marinaio Ballarin.

Il capitano l’ho visto per l’ultima volta in coperta prima che sparisse dalla vista.

Ho cominciato a nuotare in fretta per allontanarmi dalla nave; sentivo ancora le voci».

Sono trascorsi ancora alcuni minuti, poi intorno al naufrago si è fatto un terribile silenzio.

Ha continuato a nuotare, ma senza che nessuno dei compagni lo seguisse.

Cosa sia accaduto mentre Freguja si allontanava a grandi bracciate, nel mare buio, è facilmente comprensibile.

Una parte dei marinai è rimasta a bordo, tentando sino all’ultimo di servirsi delle scialuppe e presumibilmente sono stati sorpresi in questo atteggiamento quando la nave, impennatasi di colpo, è sparita inabissandosi.

Chi era a bordo è rimasto prigioniero nello scafo o è stato risucchiato sul fondo assieme ai marinai che ancora nuotavano attorno al mercantile.

L’allucinante tragedia si è così compiuta silenziosamente, stroncando diciotto vite.

Le ricerche vere e proprie sono cominciate questa mattina.

Verso le 9.30, dopo una segnalazione dell’aereo e dell’elicottero, sono state recuperate dalla motovedetta due salme ed altrettante sono state ripescate dall’«Altair» e dall’«Atleta».

All’imbrunare le unità sono rientrate a Carloforte dove le salme sono state composte nell’obitorio.

Nel pomeriggio tre dei corpi senza vita sono stati identificati, si tratta di Giorgio Renier, direttore di macchina, il nostromo Duilio Padovan e il meccanico di bordo Francesco Ravalico, di Trieste.

Amilcare Nave

Nessuno ha raccolto i segnali di soccorso

Roma, 19 gennaio

L’Ufficio stampa della marina mercantile comunica:«In merito al naufragio del "Fusina", la motonave battente bandiera italiana, al largo delle acque di Capo Sandalo, non si è ancora in grado di precisare le cause del sinistro per la rapidità eccezionale con cui si sono svolti gli avvenimenti.

Rapidità confermata anche dal fatto che né i numerosi centri radio della costa, compreso quello di Civitavecchia, particolarmente attrezzato, né le navi in transito nella zona, hanno ricevuto segnali di soccorso.

Il dispositivo di soccorso è scattato non appena le autorità competenti ne hanno avuto notizia da un naufrago del "Fusina".

Sul posto si sono immediatamente recate le fregate "Altair" e "Andromeda", due motovedette, rimorchiatori, velivoli, elicotteri.

Fino ad ora sono state recuperate quattro salme ed alcuni relitti della motonave.

Le ricerche continuano con il coordinamento della Capitaneria di Porto di Cagliari.

Continua...

Fine settima parte - Articolo 08

 

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