A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 07

IL LAVORO
martedì 20 gennaio 1970

14 DISPERSI - 4 CADAVERI RECUPERATI - UN SUPERSTITE

La tragedia della «Fusina»

Cagliari, 19 gennaio

Un solo superstite Ugo Freguja un giovane di 28 anni, cameriere di bordo che solo dopo essersi ripreso dallo choc ha potuto raccontare la terribile notte tra venerdì e sabato: la motonave «Fusina» con 18 persone a bordo si è inabissata al largo di Carloforte.

Non si sa ancora per quali cause: quattro cadaveri sono stati ripescati stamane verso le 10.

Mancano notizie degli altri 14 membri dell’equipaggio.

Ecco i nomi delle salme composte nella camera ardente di Carloforte: Giorgio Renier, direttore di macchina; Francesco Ravalico, operaio meccanico di Trieste; Duilio Padoan, nostromo; Nicola Farinola, da Molfetta, 24 anni.

Frattanto la Capitaneria di porto di Cagliari ha reso noti i nomi e i compartimenti marittimi dei componenti l’equipaggio della «Fusina», che aveva una stazza lorda di 2.700 tonnellate ed era iscritta a Venezia: comandante Mario Catena (53 anni), direttore di macchina Giorgio Renier (32), primo ufficiale Giacinto Gimma (33), primo macchinista Erminio Doria (32), secondo macchinista Giacomo Canova (48), marinaio Giuseppe Ballarin (33), cuoco Giovanni Lenzovich (57), tutti di Venezia; secondo ufficiale Giordano Voltolina (62), radiotelegrafista Giovanni Nordio (27), nostromo Duilio Padoan (50), marinaio Domenico Bonaldo (37), marinaio Felice Spanio (57), mozzo Angelo Barbieri (16), caporale Sergio Doria (53), tutti di Chioggia; marinaio Giuseppe De Gennaro (32), ingrassatore Nicola Farinola (25), di Molfetta; ingrassatore Giuliano Scienzo (25) di Monfalcone; operaio Francesco Ravalico (38) di Trieste.

La «Fusina era partita un’ora prima da Portovesme, scalo marittimo di Sant’Antioco nella Sardegna meridionale.

Della sua tragedia la sola drammatica testimonianza dell’unico superstite giunto a nuoto alla spiaggia di Carloforte, dopo sette ore passate in mare, di notte, nella solitudine più disperata.

Il Freguja ha detto di essere riuscito a salvarsi grazie all’ausilio di un salvagente che aveva afferrato dal parapetto della coperta prima di cadere in acqua.

«Ho visto - ha detto il cameriere di bordo della nave affondata - altri componenti dell’equipaggio nuotare con il salvagente, ma poi intorno a me non è rimasto nessuno, tranne il marinaio Ballarin che cercava disperatamente di guadagnare la riva.

Ho perso di vista anche lui.

Il comandante Catena, invece, lo vidi per l’ultima volta in coperta, poco prima che la nave affondasse.

Incitava tutti a lasciare la «Fusina» dopo aver ordinato che fossero calate in mare le scialuppe».

Sono stati lanciati - ha detto il superstite - diversi razzi e sono stati buttati in mare segnali fosforescenti ma nessuno ha risposto.

Anche l’S.O.S. è stato lanciato due volte, a brevi intervalli di tempo, ma non vi è stata nessuna comunicazione che il segnale era stato raccolto.

Il Freguja ha riferito, inoltre, che la nave, dopo lo sbandamento improvviso, è affondata in dieci minuti.

«Mi sono gettato in mare - ha detto ancora il cameriere - e ho nuotato come un disperato per sette ore.

Ho raggiunto la riva l’indomani mattina, sabato, dove ho ricevuto i primi soccorsi.

Sono addolorato e non so proprio cosa sia capitato ai miei compagni».

Alle nove di stamane due velivoli - un aereo e un elicottero - del centro di soccorso aereo di Elmas hanno avvistato i corpi di quattro uomini che galleggiavano sull’acqua a pochi chilometri da Capo Sandalo.

I piloti dei due velivoli hanno informato subito, indicando la posizione, le fregate «Altair» e «Andromeda» della Marina Militare, il rimorchiatore «Atleta» e le motovedette della capitaneria di porto e della Guardia di Finanza di Cagliari, che, nelle prime ore di oggi, erano partite per l’isola di San Pietro alla ricerca dei naufraghi.

Alle 9,30 le unità hanno avvistato i corpi e poco dopo le 10 la fregata «Altair» li ha recuperati.

Sembra, intanto, che le unità di soccorso abbiano individuato il punto in cui la «Fusina» è affondata.

Stamani, infatti, la motocisterna «Gioritta», partita ieri sera da Sant’Antioco, ha recuperato davanti a Capo Gallo, a circa due miglia a nord dell’isola di San Pietro, cinque boccaporti di legno che si presume appartenessero al mercantile affondato.

La motocisterna ha avvistato anche una larga macchia di nafta nella zona e ciò ha fatto appunto presumere che quello sia il punto in cui è avvenuto il naufragio.

Il comandante della «Gioritta» ha informato del ritrovamento le autorità marittime che hanno indirizzato verso Capo Gallo le unità e i velivoli.

Ore di grande angoscia e trepidazione si stanno vivendo intanto nelle case dei 14 marittimi dei Compartimenti di Venezia e di Chioggia, dispersi in seguito all’affondamento della motonave «Fusina», al largo di Capo Sandalo, in Sardegna.

Per tutta la notte il capitano Mario Borsani, dirigente della società abruzzese di navigazione «Sana», armatrice della nave, è rimasto nel suo ufficio in Corso del Popolo a Mestre, in attesa di ricevere qualche notizia più precisa sulle cause del naufragio del «cargo» veneziano.

LA NAVE ERA IN «ZONA D’OMBRA»

Una inchiesta della Marina Mercantile

Roma, 19 gennaio

Il naufragio della motonave «Fusina» sarà oggetto di una inchiesta da parte del Ministero della Marina Mercantile.

Sarà il primo passo per indagare sul funzionamento dei dieci diversi apparati che operano nel settore della sicurezza in mare.

Poliziotti, finanzieri, addetti alle capitanerie di porto, genio civile costiero, marinai civili e militari ecc., si contendono le aree operative di oltre 8 mila chilometri di costa della penisola, salvando la vita a circa 2 mila persone l’anno ma intralciandosi a vicenda.

Secondo gli esperti della marina militare, da noi interpellati, i naufragi che si susseguono nei mari italiani - con una certa frequenza - non sono da attribuire alla carenza di apparecchiature di segnalazione ubicate a terra.

In particolar modo in Sardegna sarebbero stati ripristinati tutti i fari proprio per far fronte alle nuove esigenze del traffico marittimo.

Carenti sono invece - per ammissione degli stessi esperti del Ministero della Marina Mercantile - i servizi di «pronto intervento» e le norme che regolano in generale la sicurezza della navigazione.

Poco più di cento unità sono oggi in dotazione delle capitanerie di porto mentre il numero delle unità necessarie è indicato in un vecchio rapporto ministeriale in almeno 360.

Oggi circa mezzo milione di imbarcazioni da diporto obbligherebbero l’unificazione di tutti i servizi civili e militari marittimi in un unico «corpo di emergenza» - anche in base ad abbozzo di legge dimenticato da tempo - e la disponibilità di ben 2 mila e 500 natanti di cui 500 per speciali condizioni di mare, cioè veri e propri «muli» capaci di tirare dritto verso le navi in difficoltà anche con mare forza 9.

Con una legge del 1° ottobre 1969 (n. 698) è stata finalmente assegnato ufficialmente alle capitanerie di porto un «certo numero» - poche unità - di navi iscritte in un ruolo speciale del naviglio militare dello Stato, rendendo operativa la legge 8 luglio 1926 n. 1178 che all’articolo 32 attribuisce a questi istituti la direzione dei soccorsi alle navi in difficoltà, l’esercizio della vigilanza tecnica sulla pesca marittima ed il «concorso all’esercizio della polizia militare».

Con i 6 mila interventi l’anno, le capitanerie di porto hanno raggiunto un livello di buona volontà e di eroismo quotidiano che fa impallidire famose azioni di guerra, tanto più se si considera che spesso, almeno sino a poco tempo fa, gli addetti che si accingevano a prestare soccorso ai naufraghi o a rincorrere veloci contrabbandieri dovevano nel contempo escogitare un sistema, sempre inedito, per salvare la propria pelle.

Malgrado le assicurazioni forniteci in materia di segnalazioni e ripetizioni di segnale di SOS è viva oggi la necessità di ristrutturare tutti i servizi che riguardano la sicurezza della navigazione e il soccorso in mare.

Detto tra parentesi per effetto di leggi preistoriche oggi navighiamo aldisopra di fondali - dove il dragaggio è ritenuto superfluo - che sono un vero e proprio campo minato; due milioni forse tre milioni di ordigni esplosivi secondo una stima - 1967 - della Marina militare sono in agguato.

L’incidente della motonave «Fusina» sarebbe stato fatale per l’equipaggio data l’impossibilità di comunicare a terra dalla «zona d’ombra» dove si trovava.

Le «zone d’ombra trasmissive» sono un vecchio ricordo per la tecnologia delle comunicazioni ma oggi negli ambienti burocratici della Marina se ne parla come se si trattasse di un fenomeno misterioso e inafferrabile.

Il Ministro della Marina mercantile on. Colombo che aveva già deciso di affrontare in Consiglio dei ministri il problema della ristrutturazione dei «servizi a mare» ha ora una ragione in più per farlo.

Antonello Palieri

Continua...

Fine settima parte - Articolo 07

 

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