Cagliari, 19 gennaio
Un
solo superstite Ugo Freguja un giovane di 28 anni, cameriere di
bordo che solo dopo essersi ripreso dallo choc ha potuto raccontare
la terribile notte tra venerdì e sabato: la motonave «Fusina» con
18 persone a bordo si è inabissata al largo di Carloforte.
Non si sa ancora per quali cause: quattro cadaveri sono stati
ripescati stamane verso le 10.
Mancano notizie degli altri 14 membri dell’equipaggio.
Ecco i nomi delle salme composte nella camera ardente di Carloforte:
Giorgio Renier, direttore di macchina; Francesco Ravalico, operaio
meccanico di Trieste; Duilio Padoan, nostromo; Nicola Farinola, da
Molfetta, 24 anni.
Frattanto la Capitaneria di porto di Cagliari ha reso noti i nomi e
i compartimenti marittimi dei componenti l’equipaggio della
«Fusina», che aveva una stazza lorda di 2.700 tonnellate ed era
iscritta a Venezia: comandante Mario Catena (53 anni), direttore di
macchina Giorgio Renier (32), primo ufficiale Giacinto Gimma (33),
primo macchinista Erminio Doria (32), secondo macchinista Giacomo
Canova (48), marinaio Giuseppe Ballarin (33), cuoco Giovanni
Lenzovich (57), tutti di Venezia; secondo ufficiale Giordano
Voltolina (62), radiotelegrafista Giovanni Nordio (27), nostromo
Duilio Padoan (50), marinaio Domenico Bonaldo (37), marinaio Felice
Spanio (57), mozzo Angelo Barbieri (16), caporale Sergio Doria (53),
tutti di Chioggia; marinaio Giuseppe De Gennaro (32), ingrassatore
Nicola Farinola (25), di Molfetta; ingrassatore Giuliano Scienzo
(25) di Monfalcone; operaio Francesco Ravalico (38) di Trieste.
La «Fusina era partita un’ora prima da Portovesme, scalo marittimo
di Sant’Antioco nella Sardegna meridionale.
Della sua tragedia la sola drammatica testimonianza dell’unico
superstite giunto a nuoto alla spiaggia di Carloforte, dopo sette
ore passate in mare, di notte, nella solitudine più disperata.
Il Freguja ha detto di essere riuscito a salvarsi grazie all’ausilio
di un salvagente che aveva afferrato dal parapetto della coperta
prima di cadere in acqua.
«Ho visto - ha detto il cameriere di bordo della nave affondata -
altri componenti dell’equipaggio nuotare con il salvagente, ma poi
intorno a me non è rimasto nessuno, tranne il marinaio Ballarin che
cercava disperatamente di guadagnare la riva.
Ho perso di vista anche lui.
Il comandante Catena, invece, lo vidi per l’ultima volta in coperta,
poco prima che la nave affondasse.
Incitava tutti a lasciare la «Fusina» dopo aver ordinato che
fossero calate in mare le scialuppe».
Sono stati lanciati - ha detto il superstite - diversi razzi e sono
stati buttati in mare segnali fosforescenti ma nessuno ha risposto.
Anche l’S.O.S. è stato lanciato due volte, a brevi intervalli di
tempo, ma non vi è stata nessuna comunicazione che il segnale era
stato raccolto.
Il Freguja ha riferito, inoltre, che la nave, dopo lo sbandamento
improvviso, è affondata in dieci minuti.
«Mi sono gettato in mare - ha detto ancora il cameriere - e ho
nuotato come un disperato per sette ore.
Ho raggiunto la riva l’indomani mattina, sabato, dove ho ricevuto i
primi soccorsi.
Sono addolorato e non so proprio cosa sia capitato ai miei
compagni».
Alle nove di stamane due velivoli - un aereo e un elicottero - del
centro di soccorso aereo di Elmas hanno avvistato i corpi di quattro
uomini che galleggiavano sull’acqua a pochi chilometri da Capo
Sandalo.
I piloti dei due velivoli hanno informato subito, indicando la
posizione, le fregate «Altair» e «Andromeda» della Marina
Militare, il rimorchiatore «Atleta» e le motovedette della
capitaneria di porto e della Guardia di Finanza di Cagliari, che,
nelle prime ore di oggi, erano partite per l’isola di San Pietro
alla ricerca dei naufraghi.
Alle 9,30 le unità hanno avvistato i corpi e poco dopo le 10 la
fregata «Altair» li ha recuperati.
Sembra, intanto, che le unità di soccorso abbiano individuato il
punto in cui la «Fusina» è affondata.
Stamani, infatti, la motocisterna «Gioritta», partita ieri sera da
Sant’Antioco, ha recuperato davanti a Capo Gallo, a circa due miglia
a nord dell’isola di San Pietro, cinque boccaporti di legno che si
presume appartenessero al mercantile affondato.
La motocisterna ha avvistato anche una larga macchia di nafta nella
zona e ciò ha fatto appunto presumere che quello sia il punto in cui
è avvenuto il naufragio.
Il comandante della «Gioritta» ha informato del ritrovamento le
autorità marittime che hanno indirizzato verso Capo Gallo le unità e
i velivoli.
Ore di grande angoscia e trepidazione si stanno vivendo intanto
nelle case dei 14 marittimi dei Compartimenti di Venezia e di
Chioggia, dispersi in seguito all’affondamento della motonave
«Fusina», al largo di Capo Sandalo, in Sardegna.
Per tutta la notte il capitano Mario Borsani, dirigente della
società abruzzese di navigazione «Sana», armatrice della nave, è
rimasto nel suo ufficio in Corso del Popolo a Mestre, in attesa di
ricevere qualche notizia più precisa sulle cause del naufragio del
«cargo» veneziano. |
Roma, 19 gennaio
Il
naufragio della motonave «Fusina» sarà oggetto di una inchiesta da
parte del Ministero della Marina Mercantile.
Sarà il primo passo per indagare sul funzionamento dei dieci diversi
apparati che operano nel settore della sicurezza in mare.
Poliziotti, finanzieri, addetti alle capitanerie di porto, genio
civile costiero, marinai civili e militari ecc., si contendono le
aree operative di oltre 8 mila chilometri di costa della penisola,
salvando la vita a circa 2 mila persone l’anno ma intralciandosi a
vicenda.
Secondo gli esperti della marina militare, da noi interpellati, i
naufragi che si susseguono nei mari italiani - con una certa
frequenza - non sono da attribuire alla carenza di apparecchiature
di segnalazione ubicate a terra.
In particolar modo in Sardegna sarebbero stati ripristinati tutti i
fari proprio per far fronte alle nuove esigenze del traffico
marittimo.
Carenti sono invece - per ammissione degli stessi esperti del
Ministero della Marina Mercantile - i servizi di «pronto
intervento» e le norme che regolano in generale la sicurezza della
navigazione.
Poco più di cento unità sono oggi in dotazione delle capitanerie di
porto mentre il numero delle unità necessarie è indicato in un
vecchio rapporto ministeriale in almeno 360.
Oggi circa mezzo milione di imbarcazioni da diporto obbligherebbero
l’unificazione di tutti i servizi civili e militari marittimi in un
unico «corpo di emergenza» - anche in base ad abbozzo di legge
dimenticato da tempo - e la disponibilità di ben 2 mila e 500
natanti di cui 500 per speciali condizioni di mare, cioè veri e
propri «muli» capaci di tirare dritto verso le navi in difficoltà
anche con mare forza 9.
Con una legge del 1° ottobre 1969 (n. 698) è stata finalmente
assegnato ufficialmente alle capitanerie di porto un «certo
numero» - poche unità - di navi iscritte in un ruolo speciale del
naviglio militare dello Stato, rendendo operativa la legge 8 luglio
1926 n. 1178 che all’articolo 32 attribuisce a questi istituti la
direzione dei soccorsi alle navi in difficoltà, l’esercizio della
vigilanza tecnica sulla pesca marittima ed il «concorso
all’esercizio della polizia militare».
Con i 6 mila interventi l’anno, le capitanerie di porto hanno
raggiunto un livello di buona volontà e di eroismo quotidiano che fa
impallidire famose azioni di guerra, tanto più se si considera che
spesso, almeno sino a poco tempo fa, gli addetti che si accingevano
a prestare soccorso ai naufraghi o a rincorrere veloci
contrabbandieri dovevano nel contempo escogitare un sistema, sempre
inedito, per salvare la propria pelle.
Malgrado le assicurazioni forniteci in materia di segnalazioni e
ripetizioni di segnale di SOS è viva oggi la necessità di
ristrutturare tutti i servizi che riguardano la sicurezza della
navigazione e il soccorso in mare.
Detto tra parentesi per effetto di leggi preistoriche oggi
navighiamo aldisopra di fondali - dove il dragaggio è ritenuto
superfluo - che sono un vero e proprio campo minato; due milioni
forse tre milioni di ordigni esplosivi secondo una stima - 1967 -
della Marina militare sono in agguato.
L’incidente della motonave «Fusina» sarebbe stato fatale per
l’equipaggio data l’impossibilità di comunicare a terra dalla «zona
d’ombra» dove si trovava.
Le «zone d’ombra trasmissive» sono un vecchio ricordo per la
tecnologia delle comunicazioni ma oggi negli ambienti burocratici
della Marina se ne parla come se si trattasse di un fenomeno
misterioso e inafferrabile.
Il Ministro della Marina mercantile on. Colombo che aveva già deciso
di affrontare in Consiglio dei ministri il problema della
ristrutturazione dei «servizi a mare» ha ora una ragione in più
per farlo.
Antonello Palieri |