A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 04

CORRIERE DELLA SERA
martedì 20 gennaio 1970

LA MOTONAVE AFFONDATA AL LARGO DELLA SARDEGNA
NESSUNA SPERANZA PER I NAUFRAGHI
Quattro salme recuperate
- Il drammatico racconto dell’unico superstite: Impossibile calare le scialuppe
- Non sono stati captati i segnali di soccorso
- Cinque ore a nuoto fino a una spiaggetta
- Spiegamento di mezzi per le ricerche che continueranno anche oggi
- Ipotesi sulle cause del disastro: O uno sbandamento del carico o una falla

Dal nostro corrispondente
Cagliari, 19 gennaio, notte

Ormai non vi sono più speranze di trovare vivo qualcuno dei diciotto naufraghi della motonave «Fusina», colata a picco venerdì notte nelle acque di Capo Sandalo, quando aveva lasciato da neppure due ore lo scalo di Porto Vesme con un carico di blenda.

Quattro cadaveri sono stati recuperati stamane, durante le operazioni di ricerca alle quali partecipano mezzi della capitaneria di porto di Cagliari, della marina militare, della guardia di finanza e aerei del centro di soccorso di Elmas.

Sono stati appunto i piloti di alcuni elicotteri, ad avvistare, poco prima delle dieci, i corpi galleggianti, a poche miglia dalla costa.

Sul posto sono subito state dirette le motovedette «C.P. 306», la fregata «Andromeda» e la nave «Altair» i cui equipaggi hanno provveduto al recupero.

Tre salme sono state trasportate a Carloforte: sono quelle del direttore di macchina Giorgio Renier, del nostromo Duilio Padoan e del cuoco Giovanni Lenzovich.

La quarta salma è a bordo del rimorchiatore «Atleta» in rotta verso il porto di Sant’Antioco.

L’unico superstite del naufragio, il cameriere Ugo Freguja, di Venezia, ripresosi dallo choc, ha fornito stamane più ampi particolari sul tragico episodio: ha ricordato di essersi imbarcato un mese fa sulla «Fusina», precisando poi che la nave lasciò Porto Vesme verso le ore 21,15 di venerdì, diretta a Porto Marghera.

«Meno di due ore dopo - ha detto il Freguja - quando ero in cabina, sono stato svegliato da un violento scossone.

Sentivo invocazioni di aiuto e, mi sono accorto che la nave si era inclinata paurosamente.

Sono corso in coperta e, assieme agli altri compagni, ho tentato di mettere in mare le scialuppe di salvataggio.

Non c’è stato nulla da fare.

Per oltre mezz’ora abbiamo cercato invano di gettare in mare una lancia mentre il radiotelegrafista lanciava il segnale di soccorso; nessuno rispondeva, il segnale non veniva captato.

Il comandante ha sparato diversi razzi, lanciato segnali fosforescenti, ma tutto inutilmente.

Quando la nave stava per affondare, il comandante ha dato l’ordine di infilarsi i salvagenti e di abbandonare la «Fusina».

Mi sono gettato in acqua ed ho cominciato a nuotare vigorosamente per allontanarmi il più possibile; temevo che il risucchio provocato dalla nave che si inabissava potesse trascinarmi a fondo.

Accanto a me ho visto due marinai; sotto costa, dopo oltre cinque ore di nuoto, ho sentito ancora invocare aiuto, poi li ho persi di vista.

Attorno a me, un pauroso silenzio.

Quando sono giunto sulla spiaggetta ero sfinito, intirizzito dal freddo, terrorizzato.

Il resto della notte l’ho trascorsa al riparo di alcune rocce; l’indomani sono stato avvicinato da un pescatore, Giacomo Prefumo, che mi ha soccorso e portato nella sua casa.

Prefumo mi ha rifocillato, ma ero sotto choc, non ricordavo nulla, non sapevo cosa mi era accaduto.

Poi sono caduto in un sonno profondo e ieri sera, quando mi sono svegliato ho ricordato tutto e sono andato a dare l’allarme».

Le ricerche sono perciò incominciate con quaranta ore circa di ritardo; nonostante le scarse speranze, mezzi della capitaneria di porto di Cagliari, alcune navi partite da Sant’Antioco e rimorchiatori salpati da Carloforte si sono portati sul luogo dove si ritiene sia naufragato il «Fusina» ed hanno iniziato le perlustrazioni.

Per tutta la notte le acque attorno a Capo Sandalo sono state scandagliate, ma non è stata trovata alcuna traccia della motonave, né sono stati trovati naufraghi.

Alle prime luci dell’alba di stamane le ricerche venivano continuate da motopescherecci, dalla motovedetta «C.P. 306», dalla nave «Altair», dalla fregata «Andromeda», dalla motocisterna «Gioritta», dai rimorchiatori «Atleta» e «Tenace», dal «Dades» ed altre unità di piccolo cabotaggio.

Un pilota ha avvistato alle 9.55 due corpi; e pochi minuti dopo un altro aereo intravedeva altri due cadaveri.

Le operazioni di recupero, portate a termine dalla motovedetta e dalla nave «Altair», si sono concluse in un’ora.

Nel primo pomeriggio le due unità sono entrate nel porto e hanno sbarcato le salme.

Sempre nella mattinata, la cisterna «Gioritta» ha recuperato numerosi boccaporti del «Fusina.

Al calar della notte le operazioni sono state sospese; nella zona del sinistro sono rimaste alcune unità della marina militare; le altre navi sono tornate in porto.

Domani riprenderanno le operazioni.

Sulle cause della sciagura è difficile pronunciarsi; secondo le dichiarazioni di Ugo Freguja, pare che la «Fusina» si sia inclinata per lo sbandamento del carico nelle stive.

Il capitano Borsani, dirigente della «Sana», società proprietaria del «Fusina», ritiene invece che il naufragio non avrebbe, almeno per il momento, alcuna valida spiegazione.

«Verso la fine di agosto - ha detto il Borsani - la «Fusina» fu trasferita in bacino di carenaggio, per revisione dello scafo.

Tale revisione - ha proseguito - accertò la perfetta condizione delle strutture.

Non possiamo dire se vi sia stato uno sbandamento del carico, o se un colpo di mare abbia inclinato la motonave; o se, infine, si sia aperta una falla.

Sono tutte supposizioni s’intende, che potranno avere una risposta definitiva solo al termine degli accertamenti già disposti dalle autorità marittime di Cagliari.

F. P.

Dolore a Venezia

Il capitano della società armatrice informato da un giornalista 47 ore dopo l’affondamento

NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE
Venezia 19 gennaio, notte.

Le dichiarazioni fatte oggi in Sardegna dal cameriere di bordo Ugo Freguja, unico superstite nel naufragio della motonave Fusina, gettano un po’ di luce su una tragedia che ha ancora, e forse conserverà per sempre, dei lati oscuri.

Non servono però, quelle dichiarazioni, a lenire il dolore di quei familiari degli altri diciotto che viaggiavano sulla Fusina, dal comandante Mario Catena, al mozzo sedicenne Angelo Barbieri, per i quali ormai si è perduta ogni speranza.

Cinque degli scomparsi abitavano a Mestre, sei a Chioggia-Sottomarina, due a Venezia Centro, uno al Lido di Venezia, uno a Trieste, uno a Muzzana di Udine; due soltanto non erano veneti, il marinaio De Gennaro e l’ingrassatore Farinola, entrambi di Molfetta.

Di fronte alla disperazione di quelle diciotto famiglie, qualunque aggettivo sonerebbe stonato: una disperazione resa, se possibile, ancora più amara dal ritardo con cui, per una fatale catena di circostanze, la notizia del naufragio è pervenuta.

Lo stesso capitano Mario Borsani, direttore della SANA società armatrice della Fusina - il nome intero è Società Abruzzese di Navigazione, con sede a Mestre, corso del Popolo 245, affiliata alla SAVA di Marghera - ha appreso la notizia soltanto ieri sera alle ore 21.30, a casa sua, e cioè quarantasette ore dopo l’affondamento della motonave nelle acque sarde.

E l’ha appresa da un giornalista, Gigi Bevilacqua, direttore dell’ufficio veneziano dell’agenzia Ansa.

Il primo flash da Cagliari, con la notizia della rivelazione di Ugo Freguja alle autorità navali di Carloforte, nell’isola di San Pietro, è pervenuto all’Ansa di Venezia alle 20.44 di ieri; immediatamente, il Bevilacqua ha telefonato alla capitaneria di porto, a San Marco, dove gli è stato detto che una analoga comunicazione dalla Sardegna era colà arrivata qualche ora prima, nel tardo pomeriggio e che la Fusina apparteneva alla società SANA.

In capo a mezz’ora di febbrili ricerche negli ambienti marittimi e portuali, si è riusciti a identificare il direttore della SANA nel capitano Borsani; e a sapere che a Venezia, la Fusina si appoggiava all’agenzia Duodo, di cui è titolare il capitano Spiridione Lucchi.

Erano le 21.30: tutti i giornali italiani erano ormai a conoscenza del naufragio, o, più precisamente - la distinzione ieri sera aveva la sua importanza - del fatto che un naufrago, Ugo Freguja, aveva dichiarato che la sua nave era affondata e che nulla sapeva dei suoi compagni.

Erano dunque le 21.30 e finalmente si poteva telefonare a Lucchi ed a Borsani per ottenere notizie più precise.

Borsani non sapeva nulla.

«Sono corso subito a Mestre, nella sede della società - racconta il capitano Borsani - quello che più mi assillava era il comportamento da adottare nei confronti dei familiari, dei parenti.

Non avevamo ancora le prove ufficiali, ieri sera, che la nave fosse affondata e che diciotto su diciannove fossero dispersi.

D’altro canto, erano già passati due giorni.

Che fare?

Che dire?

Ho telefonato a Cagliari, ho telefonato a Carloforte, all’albergo "Riviera", dove Freguja era ricoverato, ma non sono riuscito a parlare direttamente con lui.

La conferma l’ho avuta da Cagliari alle 22.30 ed allora ho cominciato a telefonare alle famiglie di cui avevo il recapito telefonico; alle altre ho telegrafato.

Purtroppo in qualche famiglia, in cui il telegramma non era ancora giunto, la notizia è arrivata dai teleschermi, con il telegiornale della notte».

Che cosa pensa il capitano Borsani, di questo naufragio repentino?

«Per il momento - risponde - raccogliamo informazioni.

Ipotesi se ne possono fare parecchie, ma sono soltanto ipotesi.

La nave fu costruita a Napoli, nei cantieri Pellegrino, nel 1957, e stazzava 2706 tonnellate, con una portata di 4000.

Noi l’abbiamo acquistata due anni fa, e nell’agosto scorso, l’abbiamo mandata in cantiere, qui a Venezia, per una accurata revisione.

L’equipaggio, a cominciare dal comandante, era tutto composto di gente esperta.

La Fusina era arrivata in Sardegna, a Portoscuso, attiguo a Porto Vesme, la sera del 5 gennaio.

Là aveva caricato 3990 tonnellate di blenda, ossia minerale di zinco, che doveva trasportare qui a Marghera alla Montedison.

IL CORDOGLIO DI SARAGAT

Roma, 19 gennaio, notte

Il Presidente della Repubblica ha inviato all’onorevole Vittorino Colombo, ministro della marina mercantile, il seguente telegramma:

«La tragica notizia del naufragio della motonave «Fusina», al largo delle coste della Sardegna, mi ha dolorosamente colpito.

Con animo commosso, prego far giungere, ai familiari dei dispersi, l’espressione della mia affettuosa solidarietà».

AIUTI ALLE FAMIGLIE

Roma, 19 gennaio, notte

L’ufficio stampa della Marina mercantile comunica che «in merito al naufragio del ‘Fusina’, non si è ancora in grado di precisare le cause del sinistro per la rapidità eccezionale con cui si sono svolti gli avvenimenti».

Rapidità confermata anche dal fatto che, né i numerosi centri radio della costa, compreso quello di Civitavecchia, particolarmente attrezzato, né le navi in transito nella zona, hanno ricevuto segnali di soccorso.

Il comunicato informa inoltre che il ministro Vittorino Colombo ha disposto «la concessione di un contributo straordinario e tutta la possibile assistenza alle famiglie dei marinai coinvolti nella disgrazia».

Continua...

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