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La tragedia del Fusina |
Settima parte |
Rassegna
stampa nazionale |
Articolo 04 |
CORRIERE DELLA SERA
martedì 20 gennaio 1970 |
LA MOTONAVE AFFONDATA AL
LARGO DELLA SARDEGNA
NESSUNA SPERANZA PER I NAUFRAGHI |
Quattro salme
recuperate
- Il drammatico racconto dell’unico superstite: Impossibile calare
le scialuppe
- Non sono stati captati i segnali di soccorso
- Cinque ore a nuoto fino a una spiaggetta
- Spiegamento di mezzi per le ricerche che continueranno anche oggi
- Ipotesi sulle cause del disastro: O uno sbandamento del carico o
una falla |
Dal nostro
corrispondente
Cagliari, 19 gennaio, notte
Ormai
non vi sono più speranze di trovare vivo qualcuno dei diciotto
naufraghi della motonave «Fusina», colata a picco venerdì notte
nelle acque di Capo Sandalo, quando aveva lasciato da neppure due
ore lo scalo di Porto Vesme con un carico di blenda.
Quattro cadaveri sono stati recuperati stamane, durante le
operazioni di ricerca alle quali partecipano mezzi della capitaneria
di porto di Cagliari, della marina militare, della guardia di
finanza e aerei del centro di soccorso di Elmas.
Sono stati appunto i piloti di alcuni elicotteri, ad avvistare, poco
prima delle dieci, i corpi galleggianti, a poche miglia dalla costa.
Sul posto sono subito state dirette le motovedette «C.P. 306», la
fregata «Andromeda» e la nave «Altair» i cui equipaggi hanno
provveduto al recupero.
Tre salme sono state trasportate a Carloforte: sono quelle del
direttore di macchina Giorgio Renier, del nostromo Duilio Padoan e
del cuoco Giovanni Lenzovich.
La quarta salma è a bordo del rimorchiatore «Atleta» in rotta
verso il porto di Sant’Antioco.
L’unico superstite del naufragio, il cameriere Ugo Freguja, di
Venezia, ripresosi dallo choc, ha fornito stamane più ampi
particolari sul tragico episodio: ha ricordato di essersi imbarcato
un mese fa sulla «Fusina», precisando poi che la nave lasciò Porto Vesme verso le ore 21,15 di venerdì, diretta a Porto Marghera.
«Meno di due ore dopo - ha detto il Freguja - quando ero in cabina,
sono stato svegliato da un violento scossone.
Sentivo invocazioni di aiuto e, mi sono accorto che la nave si era
inclinata paurosamente.
Sono corso in coperta e, assieme agli altri compagni, ho tentato di
mettere in mare le scialuppe di salvataggio.
Non c’è stato nulla da fare.
Per oltre mezz’ora abbiamo cercato invano di gettare in mare una
lancia mentre il radiotelegrafista lanciava il segnale di soccorso;
nessuno rispondeva, il segnale non veniva captato.
Il comandante ha sparato diversi razzi, lanciato segnali
fosforescenti, ma tutto inutilmente.
Quando la nave stava per affondare, il comandante ha dato l’ordine
di infilarsi i salvagenti e di abbandonare la «Fusina».
Mi sono gettato in acqua ed ho cominciato a nuotare vigorosamente
per allontanarmi il più possibile; temevo che il risucchio provocato
dalla nave che si inabissava potesse trascinarmi a fondo.
Accanto a me ho visto due marinai; sotto costa, dopo oltre cinque
ore di nuoto, ho sentito ancora invocare aiuto, poi li ho persi di
vista.
Attorno a me, un pauroso silenzio.
Quando sono giunto sulla spiaggetta ero sfinito, intirizzito dal
freddo, terrorizzato.
Il resto della notte l’ho trascorsa al riparo di alcune rocce;
l’indomani sono stato avvicinato da un pescatore, Giacomo Prefumo,
che mi ha soccorso e portato nella sua casa.
Prefumo mi ha rifocillato, ma ero sotto choc, non ricordavo nulla,
non sapevo cosa mi era accaduto.
Poi sono caduto in un sonno profondo e ieri sera, quando mi sono
svegliato ho ricordato tutto e sono andato a dare l’allarme».
Le ricerche sono perciò incominciate con quaranta ore circa di
ritardo; nonostante le scarse speranze, mezzi della capitaneria di
porto di Cagliari, alcune navi partite da Sant’Antioco e
rimorchiatori salpati da Carloforte si sono portati sul luogo dove
si ritiene sia naufragato il «Fusina» ed hanno iniziato le
perlustrazioni.
Per tutta la notte le acque attorno a Capo Sandalo sono state
scandagliate, ma non è stata trovata alcuna traccia della motonave,
né sono stati trovati naufraghi.
Alle prime luci dell’alba di stamane le ricerche venivano continuate
da motopescherecci, dalla motovedetta «C.P. 306», dalla nave
«Altair», dalla fregata «Andromeda», dalla motocisterna «Gioritta»,
dai rimorchiatori «Atleta» e «Tenace», dal «Dades» ed altre
unità di piccolo cabotaggio.
Un pilota ha avvistato alle 9.55 due corpi; e pochi minuti dopo un
altro aereo intravedeva altri due cadaveri.
Le operazioni di recupero, portate a termine dalla motovedetta e
dalla nave «Altair», si sono concluse in un’ora.
Nel primo pomeriggio le due unità sono entrate nel porto e hanno
sbarcato le salme.
Sempre nella mattinata, la cisterna «Gioritta» ha recuperato
numerosi boccaporti del «Fusina.
Al calar della notte le operazioni sono state sospese; nella zona
del sinistro sono rimaste alcune unità della marina militare; le
altre navi sono tornate in porto.
Domani riprenderanno le operazioni.
Sulle cause della sciagura è difficile pronunciarsi; secondo le
dichiarazioni di Ugo Freguja, pare che la «Fusina» si sia
inclinata per lo sbandamento del carico nelle stive.
Il capitano Borsani, dirigente della «Sana», società proprietaria
del «Fusina», ritiene invece che il naufragio non avrebbe, almeno
per il momento, alcuna valida spiegazione.
«Verso la fine di agosto - ha detto il Borsani - la «Fusina» fu
trasferita in bacino di carenaggio, per revisione dello scafo.
Tale revisione - ha proseguito - accertò la perfetta condizione
delle strutture.
Non possiamo dire se vi sia stato uno sbandamento del carico, o se
un colpo di mare abbia inclinato la motonave; o se, infine, si sia
aperta una falla.
Sono tutte supposizioni s’intende, che potranno avere una risposta
definitiva solo al termine degli accertamenti già disposti dalle
autorità marittime di Cagliari.
F.
P. |
Dolore a
Venezia |
Il capitano della
società armatrice informato da un giornalista 47 ore dopo
l’affondamento |
NOSTRO SERVIZIO
PARTICOLARE
Venezia 19 gennaio, notte.
Le dichiarazioni
fatte oggi in Sardegna dal cameriere di bordo Ugo Freguja, unico
superstite nel naufragio della motonave Fusina, gettano un po’ di
luce su una tragedia che ha ancora, e forse conserverà per sempre,
dei lati oscuri.
Non servono però, quelle dichiarazioni, a lenire il dolore di quei
familiari degli altri diciotto che viaggiavano sulla Fusina, dal
comandante Mario Catena, al mozzo sedicenne Angelo Barbieri, per i
quali ormai si è perduta ogni speranza.
Cinque degli scomparsi abitavano a Mestre, sei a
Chioggia-Sottomarina, due a Venezia Centro, uno al Lido di Venezia,
uno a Trieste, uno a Muzzana di Udine; due soltanto non erano
veneti, il marinaio De Gennaro e l’ingrassatore Farinola, entrambi
di Molfetta.
Di fronte alla disperazione di quelle diciotto famiglie, qualunque
aggettivo sonerebbe stonato: una disperazione resa, se possibile,
ancora più amara dal ritardo con cui, per una fatale catena di
circostanze, la notizia del naufragio è pervenuta.
Lo stesso capitano Mario Borsani, direttore della SANA società
armatrice della Fusina - il nome intero è Società Abruzzese di
Navigazione, con sede a Mestre, corso del Popolo 245, affiliata alla
SAVA di Marghera - ha appreso la notizia soltanto ieri sera alle ore
21.30, a casa sua, e cioè quarantasette ore dopo l’affondamento
della motonave nelle acque sarde.
E l’ha appresa da un giornalista, Gigi Bevilacqua, direttore
dell’ufficio veneziano dell’agenzia Ansa.
Il primo flash da Cagliari, con la notizia della rivelazione di Ugo
Freguja alle autorità navali di Carloforte, nell’isola di San
Pietro, è pervenuto all’Ansa di Venezia alle 20.44 di ieri;
immediatamente, il Bevilacqua ha telefonato alla capitaneria di
porto, a San Marco, dove gli è stato detto che una analoga
comunicazione dalla Sardegna era colà arrivata qualche ora prima,
nel tardo pomeriggio e che la Fusina apparteneva alla società SANA.
In capo a mezz’ora di febbrili ricerche negli ambienti marittimi e
portuali, si è riusciti a identificare il direttore della SANA nel
capitano Borsani; e a sapere che a Venezia, la Fusina si appoggiava
all’agenzia Duodo, di cui è titolare il capitano Spiridione Lucchi.
Erano le 21.30: tutti i giornali italiani erano ormai a conoscenza
del naufragio, o, più precisamente - la distinzione ieri sera aveva
la sua importanza - del fatto che un naufrago, Ugo Freguja, aveva
dichiarato che la sua nave era affondata e che nulla sapeva dei suoi
compagni.
Erano dunque le 21.30 e finalmente si poteva telefonare a Lucchi ed
a Borsani per ottenere notizie più precise.
Borsani non sapeva nulla.
«Sono corso subito a Mestre, nella sede della società - racconta il
capitano Borsani - quello che più mi assillava era il comportamento
da adottare nei confronti dei familiari, dei parenti.
Non avevamo ancora le prove ufficiali, ieri sera, che la nave fosse
affondata e che diciotto su diciannove fossero dispersi.
D’altro canto, erano già passati due giorni.
Che fare?
Che dire?
Ho telefonato a Cagliari, ho telefonato a Carloforte, all’albergo
"Riviera", dove Freguja era ricoverato, ma non sono riuscito a
parlare direttamente con lui.
La conferma l’ho avuta da Cagliari alle 22.30 ed allora ho
cominciato a telefonare alle famiglie di cui avevo il recapito
telefonico; alle altre ho telegrafato.
Purtroppo in qualche famiglia, in cui il telegramma non era ancora
giunto, la notizia è arrivata dai teleschermi, con il telegiornale
della notte».
Che cosa pensa il capitano Borsani, di questo naufragio repentino?
«Per il momento - risponde - raccogliamo informazioni.
Ipotesi se ne possono fare parecchie, ma sono soltanto ipotesi.
La nave fu costruita a Napoli, nei cantieri Pellegrino, nel 1957, e
stazzava 2706 tonnellate, con una portata di 4000.
Noi l’abbiamo acquistata due anni fa, e nell’agosto scorso,
l’abbiamo mandata in cantiere, qui a Venezia, per una accurata
revisione.
L’equipaggio, a cominciare dal comandante, era tutto composto di
gente esperta.
La Fusina era arrivata in Sardegna, a Portoscuso, attiguo a Porto
Vesme, la sera del 5 gennaio.
Là aveva caricato 3990 tonnellate di blenda, ossia minerale di
zinco, che doveva trasportare qui a Marghera alla Montedison. |
IL
CORDOGLIO DI SARAGAT |
Roma, 19 gennaio,
notte
Il
Presidente della Repubblica ha inviato all’onorevole Vittorino
Colombo, ministro della marina mercantile, il seguente telegramma:
«La tragica notizia del naufragio della motonave «Fusina», al
largo delle coste della Sardegna, mi ha dolorosamente colpito.
Con animo commosso, prego far giungere, ai familiari dei dispersi,
l’espressione della mia affettuosa solidarietà». |
AIUTI ALLE
FAMIGLIE |
Roma, 19 gennaio,
notte
L’ufficio stampa della Marina mercantile comunica che «in merito al
naufragio del ‘Fusina’, non si è ancora in grado di precisare le
cause del sinistro per la rapidità eccezionale con cui si sono
svolti gli avvenimenti».
Rapidità confermata anche dal fatto che, né i numerosi centri radio
della costa, compreso quello di Civitavecchia, particolarmente
attrezzato, né le navi in transito nella zona, hanno ricevuto
segnali di soccorso.
Il comunicato informa inoltre che il ministro Vittorino Colombo ha
disposto «la concessione di un contributo straordinario e tutta la
possibile assistenza alle famiglie dei marinai coinvolti nella
disgrazia». |
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Fine settima parte - Articolo 04 |
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