A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 03

VENEZIA NOTTE
lunedì 19 gennaio 1970

L’allucinante racconto del cameriere di bordo lidense che ha visto i suoi compagni sparire tra i flutti
Le scialuppe di salvataggio spazzate dal mare in burrasca

Cagliari, 19 gennaio

«Ero sceso sotto coperta e mi ero sdraiato nella mia cuccetta, quando la nave è improvvisamente sbandata paurosamente su un fianco.

Poco è mancato che non cadessi a terra.

Subito dopo ho udito delle grida e un mio compagno mi ha urlato "vieni su, stiamo affondando".

Mi sono precipitato in coperta e ho visto i marinai che sotto la guida del comandante cercavano di calare le scialuppe di salvataggio.

Ma l’inclinazione della nave era ormai troppo forte, la operazione si è resa difficile; i marosi, le altissime onde spazzavano via le scialuppe come fuscelli».

Questo il racconto di Ugo Freguja, il cameriere di bordo della «Fusina».

Ugo Freguja, stando alle tragiche notizie che giungono di ora in ora dalle navi militari e dagli aerei del servizio di soccorso aereo, che stanno perlustrando la vasta zona di mare dove è avvenuto il naufragio, sarebbe l’unico superstite di questa allucinante storia di mare.

«L’inclinazione aumentava di minuto in minuto – ha aggiunto Ugo Freguja – e allora il comandante ha dato l’ordine di abbandonare la nave.

Mi sono gettato in mare, e ho nuotato come un disperato per almeno sette ore.

Ho raggiunto la riva l’indomani mattina e sono riuscito a raggiungere una casetta dove sono entrato e mi sono rifugiato.

Poi è venuto il padrone che mi ha soccorso e finalmente eccomi qua.

Sono addolorato e non so cosa sia capitato ai miei compagni».

Il racconto del giovane cameriere, che è scapolo e abita al Lido di Venezia, è stato alquanto confuso e poco preciso; egli è ancora sotto choc e si trova in un albergo di Carloforte.

UNA TRAGEDIA DEL MARE

E’ possibile?

E’ mai possibile che nell’era in cui gli uomini, cavalcando nello spazio sui mostri volanti, mettono piede sulla luna, navigare sia ancora un rischio mortale?

Questo si domanda stupito l’uomo della strada.

Questo si chiedono con il cuore in gola i familiari dei dispersi di questo repentino, e fin qui misterioso naufragio.

Una nave sparisce, inghiottita dai flutti, in una notte di tempesta, e nessuno se ne accorge.

Se Ugo Freguja, il cameriere di bordo avesse ceduto, se in quelle lunghe allucinanti sette ore avesse perso le forze, forse nessuno saprebbe ancora qualcosa di questa tragedia del mare.

Come è potuto accadere?

Nemmeno un allarme, nemmeno un vago cenno, nemmeno un tentativo di lanciare nello spazio il fatidico S.O.S. Niente: un’onda più forte delle altre e la nave si capovolge, la chiglia emerge dalle onde, ed è tutto finito.

Diciotto uomini, diciotto onesti lavoratori, diciotto rudi marinai spariscono, inghiottiti dalla notte di piombo.

Questo è l’aspetto più allucinante della tragedia: tutto si è concluso in pochi attimi.

E il racconto di Ugo Freguja, ancora incompleto, nebuloso,non ci consente di ricostruire tutto il meccanismo del naufragio.

Ci sarà un’inchiesta, ma le risultanze si prevedono fin d’ora difficili.

Ma anche se l’inchiesta stabilirà responsabilità o manchevolezze, chi ridarà la vita ai diciotto uomini scomparsi nel naufragio?

Chi ridarà il padre ai bambini; chi ridarà il marito alle vedove?

Il mare: questo crudele mare che si vendica così irrazionalmente, così repentinamente, di coloro che da esso traggono vita e guadagno, non perdona.

L’uomo va sulla luna, cavalca nello spazio, galleggia nel cosmo, balla di gioia sui pianeti, ma rischia ancora la vita se sale su una nave.

Vita dura, vita grama, quella del marinaio, vita non sempre ripagata da benefici economici.

Lunghi mesi lontani dal tepore della casa, e pericoli, pericoli che nessun progresso della tecnica riesce, evidentemente a cancellare del tutto.

Se è vero, come purtroppo è vero, come testimoniano quei cinque cadaveri pescati questa mattina nel mare di Sardegna, che anche navigando a qualche miglia dalla riva di casa nostra, si può essere inghiottiti dai flutti.

Bruno Borlandi

La spasmodica attesa dei familiari dei dispersi

Otto famiglie veneziane e sei chioggiotte stanno vivendo ore di ansia tormentosa.

Sono i congiunti dei componenti l’equipaggio del mercantile "Fusina" affondato, come pubblichiamo in altra parte del giornale, al largo della Sardegna, all’altezza di capo Sandalo venerdì sera.

Da quando la prima notizia è stata diffusa dal telegiornale della notte, nelle case dei dispersi non si è più dormito.

Telefonate si sono intrecciate nel cuore della notte dirette soprattutto a Cagliari, la cui capitaneria di porto è stata letteralmente sommersa dalle chiamate, alle quali però si rispondeva invariabilmente di non poter dare alcuna notizia precisa.

Le uniche informazioni erano quelle raccolte dal racconto di Ugo Freguja, il cameriere di bordo di 28 anni abitante con i genitori ed i fratelli in Riva Corinto 14 al Lido, finora l’unico superstite.

Il padre del giovane, Pasquale, che fa il materassaio, ci ha detto di non aver chiuso occhio tutta la notte.

Il telefono non ha fatto altro che squillare.

Erano i familiari degli altri del "Fusina" che domandavano notizie.

E lui non poteva rispondere se non che suo figlio si era salvato e che si trovava in un albergo di Carloforte.

«Non ho potuto parlare con Ugo – ci ha dichiarato – era in stato di choc e non si sentiva molto bene.

Chi mi ha informato è sta la centralinista dell’albergo, dove il mio ragazzo è alloggiato.

Mi ha detto che Ugo è stato visitato da un medico che gli aveva riscontrato un principio di bronchite.

Più tardi ho tentato di parlare con mio figlio ma mi ha fatto rispondere che fra due o tre giorni sarebbe venuto a casa.

Ha detto invece di avere urgente bisogno di indumenti.

Ma la società armatrice ci ha fatto sapere che noi non dobbiamo pensare ad alcun che.

Provvederà a tutto essa.

Stamattina un incaricato della S.A.N.A. è partito infatti per Carloforte dove provvederà di denaro e di abiti mio figlio».

Ugo Freguja è il penultimo di sette fratelli: 4 maschi e 3 femmine.

La passione di navigare l’ha avuta sempre nel sangue.

I genitori non erano troppo contenti che egli avesse scelto questa carriera ma non l’hanno contrastato.

Così da quando è ritornato a casa dopo il servizio militare è stato costantemente imbarcato.

Ha girato tutto il mondo.

E’ stato in Australia, in Giappone, in Cina, in India, nel Messico, nell’America del nord.

Costretto pertanto a starsene lontano da casa per mesi e mesi, era soddisfatto di essersi imbarcato sul «Fusina» perché ciò gli consentiva di tornare a Venezia ogni 15 giorni.

Un altro lidense del quale purtroppo però non si hanno finora notizie è Erminio Doria, 32 anni, la cui famiglia abita in via Medusa 8.

Stamane davanti alla porta d’ingresso della sua abitazione c’era un capannello di amici e vicini che hanno consigliato il nostro cronista a non chiedere di entrare.

La madre del primo macchinista del «Fusina», infatti è ammalata e la moglie era in uno stato di profonda prostrazione.

Avevano appreso anch’essi la notizia dal telegiornale della notte.

Il Doria è sposato da sei anni ed è conosciuto per aver militato nella sezione pallacanestro della Reyer.

Un fratello è partito questa notte per Cagliari assieme a due fratelli di Giorgio Renier, 32 anni, abitante a Castello 481 a S. Giuseppe, direttore di macchina della nave scomparsa.

I tre essendo chiuso al traffico l’aeroporto Marco Polo hanno raggiunto Milano in treno e da qui sono partiti in aereo per Cagliari.

Il Renier ha studiato al Nautico dove si è diplomato, e naviga da sette anni.

Nella scorsa stagione estiva aveva lavorato come provvisorio all’ACNIL e si era imbarcato sul «Fusina» in attesa di essere immesso nei ruoli organici dell’azienda municipalizzata.

Martedì scorso aveva telefonato per informare che la nave sarebbe ritornata a Venezia oggi.

I Renier sono otto fratelli –queste informazioni ce le ha fornite una sorella appunto del direttore di macchina, la signora Vincenza Renier abitante al 247 – e per tutta la notte sono stati in continuo contatto con la Capitaneria di Porto di Cagliari.

Anch’essi avevano appreso la notizia dal Telegiornale della notte e da allora sono in preda alla costernazione.

La loro famiglia è stata colpita recentemente da un lutto: il padre del Renier è morto infatti nel settembre scorso.

Quest’altra notizia l’hanno perciò tenuta nascosta alla madre.

Per giustificare la partenza dei due fratelli nel cuore della notte le hanno detto che Giorgio s’era ferito ad una gamba.

La signora Vincenza Renier si è lamentata che la società armatrice non abbia minimamente informato del fatto i congiunti dell’equipaggio i quali – ha detto – sono venuti a conoscenza della sciagura solo attraverso il Telegiornale.

Ed ecco ora qualche notizia sui dispersi che risiedono a Chioggia.

Il secondo ufficiale Giordano Voltolina di 62 anni, abita in via Canali 62 assieme alla moglie Aurelia Tiozzo detta «Cuccaro»di 56 anni; il mozzo Angelo Barbieri di 16 anni vive a Sottomarina all’anagrafico 1832 assieme ai genitori e a due fratelli: Mauro di 14 e Donatella di 11 anni; il marinaio Felice Spanio, 57 anni, è sposato con Eugenia dall’Acqua, 41 anni, ha una figlia Antonella di 6 anni, ed abita in calle Vescovi 525; Domenico Bonaldo, 37 anni, marinaio, ha una famiglia numerosa, composta dalla moglie Agnese Varisco, 37 anni e da quattro figli: Osvaldo di 17, Luciano di 14, Tennis di 10 e la piccola Orietta nata appena un anno fa; il radiotelegrafista Giovanni Nordio di 28 anni, vive con i genitori e con un fratello, Agostino, di 28 anni, in via Manzoni 540.

Quanto al nostromo Duilio Padoan di 50 anni, residente in via S. Giacomo 209, è sposato con Jolanda Gianni di 48 anni.

A Mestre in via Antonino da Pordenone 24 abita il caporale Sergio Doria, sposato e padre di due figli. «Era imbarcato sul "Fusina" – ci ha detto la sorella – da circa quattro mesi. Stiamo aspettando notizie di minuto in minuto».

Il cuoco Giovanni Lenzovich abita con la famiglia in via Cà Rossa 42. «Faceva parte dell’equipaggio del "Fusina" da due – tre mesi - è riuscita a dichiararci la figlia con la voce rotta dal pianto. Di più non posso dirvi. Non riesco proprio a parlare».

Grande tensione e trepidazione anche all’anagrafico 6/A di via S. Rosa a Zelarino dove abita la famiglia del secondo macchinista Giacomo Canova il quale è sposato ed ha due bambine. «Non ci resta che aspettare notizie – ci ha detto la moglie - . Noi vorremo fare qualcosa, ma cosa?

In casa del comandante del "Fusina" Mario Catena si vivono ore di ansia per la sorte del familiare scomparso. Abbiamo potuto solo apprendere che Mario Catena, 53 anni, veneziano di nascita ma da qualche tempo a Mestre in viale Garibaldi 61, da circa un anno e mezzo era imbarcato sul "Fusina". Diplomato all’Istituto Nautico di Venezia, in precedenza aveva prestato servizio sulle petroliere della Sidarma ed aveva percorso le rotte del nord Atlantico. E’ sposato ed ha un figlio di 23 anni, che ha appena terminato il servizio militare.

Ore drammatiche si vivono pure in casa del primo ufficiale Giacinto Gimma di 33 anni, che abita a Marghera in via Damiano Chiesa 4. Originario di Vieste (Gargano) si era trasferito a Venezia dove aveva frequentato l’Istituto Nautico e dove si era diplomato.

Per qualche tempo aveva prestato servizio all’ACNIL in qualità di stagionale e da un anno prestava servizio sulla "Fusina” sia pure con qualche interruzione. Anche il primo ufficiale è sposato ed ha un bambino di un anno e mezzo. La moglie attende un secondo figli: infatti è incinta da 5 mesi.

La nave «Fusina» aveva 3200 tonnellate di stazza.

Costruita dai cantieri Pellegrino di Napoli, era stata acquistata dalla S.A.N.A. due anni fa e solo pochi mesi addietro, in agosto per la precisione, era stata in bacino di carenaggio per una revisione completa che aveva permesso di accertare le condizioni in cui si trovava la nave.

Partita da Marghera il 2 gennaio aveva fatto rotta per Porto Vesme, dove aveva caricato 4000 tonnellate di minerale di blenda, destinato appunto all’industria di Marghera.

Ripartita da Porto Vesme venerdì sera, era attesa a Venezia nella giornata di domani ma dopo un’ora di navigazione è accaduta la tragedia.

Il comandante Mario Borsani, dirigente dell’agenzia di Mestre della società Abruzzese di Navigazione, non ha saputo dirci cosa secondo lui avrebbe potuto causare la catastrofe:«Le condizioni del mare non erano pessime: Può darsi che a causa di un’onda lunga il carico si sia spostato causando una eccessiva inclinazione della nave che si è rovesciata.

Servizio a cura di:
Gustavo Bocchini
Paolo Forcolin
Sandro Sgabello
Giorgio Soligo
Bruno Tosi

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Fine settima parte - Articolo 03

 

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