Venezia, 22 gennaio
A sei giorni dal
naufragio del “Fusina” nelle acque di Capo Sandalo a poche miglia
dallo scalo di Porto Vesme, nell’attesa dei risultati delle
inchieste promosse dalle autorità marittime sarde e dalla
Magistratura, si può tentare una ricostruzione del naufragio sulla
base degli elementi fino ad ora emersi.
La ricostruzione
deve sottolineare i due aspetti distinti del sinistro: da un lato
l’affondamento di un mercantile veneziano carico di blenda,
dall’altro l’incredibile ritardo con cui si è messa in moto
l’organizzazione dei soccorsi, utile soltanto – purtroppo – a
strappare al mare le salme dei diciotto naufraghi.
Nel tentativo di
ricostruzione dell’affondamento, occorre tener conto di alcune
circostanze principali, emerse a Carloforte.
- Risulta che il
minerale caricato a bordo del “Fusina” (il metodo detto “a
cumulo”), di recentissima estrazione, denunciava una presenza di
umidità elevatissima.
Gente di Porto Vesme parlava ieri di una percentuale di umidità
del 25 per cento.
Da notare che l’umidità massima della blenda, perché si possa
assicurare stabilità del carico, non dovrebbe superare l’8 per
cento.
- Risulta,
ancora, che il “Fusina” fin dall’uscita da Porto Vesme,
denunciava una preoccupante inclinazione dello scafo.
Lo ha raccontato il “pilota” che, come vogliono i regolamenti,
ha condotto la nave fuori dallo scalo sardo.
Il Comandante Giannini, di Porto Vesme, ha raccontato a gente
del luogo di aver sconsigliato gli uomini del “Fusina” a
prendere il mare con il carico in quelle condizioni, in
considerazioni delle condizioni meteorologiche.
- Risulta,
infine – lo hanno riferito i parenti dei naufraghi, quando
ancora non conoscevano la sorte dei loro congiunti e potevano
sperare nel loro salvataggio – che almeno in un’altra
circostanza (il penultimo viaggio del “cargo” da Porto Vesme a
Marghera) il “Fusina”, carico di blenda, aveva corso il rischio
di affondare, a causa del carico mal disposto e nella burrasca
nella quale era incappato, pressappoco nella stessa zona in cui
venerdì scorso è avvenuto il naufragio.
- Il «Registro
Navale Italiano» aveva controllato le condizioni strutturali
(agosto) e l’apparato motore (dicembre) del mercantile della
«Sana» e nulla era emerso che giustificasse il timore di un
naufragio dovuto a cause attinenti la nave.
I tecnici hanno espresso il parere che la nave, caricata secondo
le norme della “sicurezza massima”, non avrebbe dovuto
affondare, anche con il mare grosso.
Gli stessi tecnici ritengono che anche una collisione con uno
scoglio non dovrebbe aver provocato un disastro di quella
portata.
- L’equipaggio
del “Fusina” poteva anche non conoscere perfettamente la nave,
la risposta del bastimento, cioè, alle spinte, alle
sollecitazioni determinate dalle condizioni del mare e dalle
particolarità della rotta.
Il veterano di bordo era il marinaio Giuseppe De Gennaro,
imbarcato il 25 marzo del 69.
Il Comandante, Mario Catena, pur essendo un esperto navigatore,
era sul “Fusina” soltanto dal 30 settembre.
Giovanni Nordio, il telegrafista, s’era imbarcato sul “cargo”
naufragato, soltanto il 2 dicembre.
Il marinaio Domenico Bonaldo era salito a bordo cinque giorni
più tardi.
Felice Spanio si era imbarcato addirittura il 29 di dicembre.
Gli altri imbarchi sul “Fusina” erano avvenuti fra settembre e
novembre.
Cerchiamo ora di
analizzare la seconda questione. Il mancato soccorso al “Fusina” ed
al suo equipaggio.
Cerchiamo di capire
il mistero di un “Sos” che nessuno ha udito.
Le tesi, a questo
proposito, sono due: o la chiamata di soccorso non è mai stata
trasmessa, oppure, l’appello è stato lanciato, ma un errore nell’uso
degli apparati della stazione “RT” ne ha impedito la diffusione
attraverso l’etere.
Il discorso che è
stato fatto lunedì sulla presenza di un “cono d’ombra” nella zona di
Porto Vesme e Carloforte, che impedisce la ricezione dei
radiomessaggi, non è di importanza rilevante.
La chiamata,
infatti, avrebbe dovuto essere comunque ricevuta da stazioni di
ascolto più lontane.
Avrebbe dovuto,
inoltre, essere captata da altri mercantili in navigazione.
Dopo il “Fusina” la
sera di venerdì da Porto Vesme è partito un altro mercantile.
Al momento del
naufragio del “cargo” veneziano, le due navi non potevano essere
lontane l’una dall’altra più di dieci-venti miglia; una distanza
irrisoria per gli apparati di bordo (sia quelli di uso normale, sia
quelli di emergenza) che hanno una portata che supera le 250 miglia
tranquillamente, arrivando sino a 500 miglia.
Da notare che l’ora
del naufragio del “Fusina” coincide con la “fascia d’ascolto”
normale a bordo di qualsiasi unità in navigazione: fra le 20 e le
23, ora di Greenwich.
A contraddire la
tesi secondo la quale lo “Sos” non sarebbe mai stato trasmesso da
bordo del “Fusina” c’è il racconto dell’unico superstite, il
cameriere Ugo Freguja, imbarcato sul mercantile affondato, il 29
novembre scorso.
Freguja ha
ripetutamente affermato che l’appello di soccorso è stato lanciato.
Il cameriere di
bordo ha anche riferito che il “Fusina”, mentre lui arrancava
disperatamente fra le onde per raggiungere a nuoto le coste, si è
inabissato «con tutte le luci accese».
Ciò significa che
l’appello di soccorso lo si poteva trasmettere con l’apparato
principale (il più potente), alimentato dalla normale corrente di
bordo, i cui generatori si trovavano in sala macchine.
Se, nonostante lo
choc e la possibilità di macroscopici equivoci, determinata dalla
drammaticità dei momenti che il Freguja stava vivendo, si accetta
l’ipotesi che il cameriere abbia ragione, non resta che una
spiegazione del misterioso «silenzio radio» intorno al “Fusina” che
si inabissava: l’uso errato di qualche apparecchio.
Questi che abbiamo
sommariamente illustrati sono i dati, sulla vicenda del “Fusina”
emersi fino ad ora.
Sono le valutazioni
degli esperti che hanno tentato di esaminare da ogni punto di vista
il problema di un affondamento così rapido e tragico.
Il discorso non
vuol certamente essere una anticipazione sui risultati delle
inchieste, giudiziarie e tecniche, appena incominciate e destinate a
protrarsi per lungo tempo.
Quelle che abbiamo
riferite, comunque, sono le sole interpretazioni attendibili e i
soli indizi validi oggi a disposizione, per tentare di chiarire il
mistero del “Fusina”.
Nel primo
pomeriggio di oggi, intanto, è giunta a Venezia la salma del
Direttore di macchina del “Fusina”, Giorgio Renier, di 32 anni, che
si era imbarcato il 26 novembre.
Due fratelli
dell’ufficiale – che era in attesa di un impiego presso l’azienda
comunale di navigazione lagunare – erano partiti per Cagliari
domenica notte.
Da Carloforte, dove
aveva ricevuto le prime onoranze funebri, la salma era stata
trasportata in furgone a Porto Torres. Il furgone era stato
imbarcato su una nave traghetto ed aveva ripreso il viaggio, via
terra, da Genova.
I funerali,
presente il sindaco, si svolgeranno domani nella chiesa di S.
Francesco, nel popolarissimo sestiere di Castello.
Gianpiero Rizzon |