A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

Ritorna all'indice della rassegna stampa sulla tragedia del Fisina

 

Vai alla puntata precedente della rubrica "Storia"

Vai alla puntata successiva della rubrica "Storia"

Vedi anche

16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Sesta parte

Rassegna stampa regionale veneta

Articolo 16

IL GAZZETTINO DI VENEZIA
venerdì 23 gennaio 1970
- Prima pagina -

Articolo in prima pagina, a una colonna, in alto a destra.

DAL «FUSINA»
Ancora vivi avevano toccato terra

Le dichiarazioni del medico di S. Pietro, dott. Felice Maurandi che visitò le salme della nave veneziana

Dal nostro corrispondente
Cagliari, 22 gennaio

Sette dei naufraghi approdati a Carloforte, avrebbero potuto salvarsi, avendo toccato terra da vivi.

Per uno di essi, il marinaio Ballarin, la cosa è certa, almeno secondo il medico dell’isola di S. Pietro, che ha visitato la salma, il dr. Felice Maurandi.

Si è trovata la canottiera del Ballarin ad asciugare sulle rocce, ma l’ipotesi sembra valida anche per gli altri sei, e questo perché i corpi avevano delle ferite prodotte dagli scogli: ferite che sanguinavano come avviene a chi è ancora vivo.

D’altra parte, tutti, nella loro speranza di salvezza, si sono diretti verso l’unica cosa che nel buio potevano scorgere: il faro di Capo Sandalo, sull’isola di S. Pietro.

Gli altri, quelli che non sono stati in condizioni fisiche di nuotare e sono stati travolti dal naufragio, il mare li ha portati verso l’isola della Vacca, dove sono stati ritrovati e dove ancora oggi si è diretto il fratello di Mario Catena con una barca a remi.

«Ballarin è morto dal freddo – ha detto il medico – Posso sottoscriverlo: ne sono certo».

I Carlofortini, che sono uomini di mare, che sanno che non si arriva sotto il faro soltanto per forza di mare, ma per forza di speranze, si incupiscono quando ne parlano e il loro accento genovese si fa più stretto.

«Non dovevano morire. Erano già arrivati. Se ce l’avessero fatta a superare la scogliera, questa maledetta cascata di sassi che circonda tutta l’isola, oggi sarebbero con noi, con Freguia, con i loro familiari. Sarebbe bastata una stazione-radio, un sorvegliante al faro, una motovedetta efficiente. Invece, quelle due che ci sono, non camminano, sono in avaria.
Sono arrivati salvi. Pazienza li avesse uccisi il mare. Ma qui siamo noi, gli scogli e gli occhi della gente che li ha lasciati morire».

Il buio ha sospeso le ricerche.

C’erano tre elicotteri militari, le navi, i pescatori e gli studenti della scuola nautica.
Non hanno trovato nulla.
Sembra che non abbiano trovato nulla nemmeno quelli che cercano nella burocrazia le ragioni dell’affondamento.

I documenti della Capitaneria, alla quale si è appoggiato il mercantile, prima di salpare per l’ultimo viaggio, sembra siano ineccepibili.

Dino Sanna

Continua...

Fine sesta parte - Articolo 16

 

[Torna ad inizio pagina]

Per inviare una e-mail alla redazione di "Storia" clicca qui sotto

 
     

Dal 06.09.2001

 
       

 

 

 

   

Inviare al Webmaster una e-mail con domande o commenti su questo sito web