Chioggia,
20 gennaio
«Capitaneria
Cagliari informaci Fusina affondata; manchiamo notizie equipaggio –
Navigazione» quando la signora Eugenia Dall’Acqua ha letto queste
tre righe tutte maiuscole, è subito svenuta sulla porta di casa dove
si trovava.
Il telegramma era
un «urgente» indirizzato a suo marito Felice Spanio: al fattorino
che glielo aveva recapitato la signora Spanio aveva consegnato cento
lire di mancia.
Erano le dieci e
mezzo di lunedì; già da diciotto ore si era cominciato a sapere
qualcosa di quanto era accaduto a poca distanza dalle coste della
Sardegna, e già questo qualcosa era stato riferito dalla televisione
e dai giornali.
Ma la signora
Spanio non aveva letto i giornali e in casa la televisione non ce
l’ha.
Ieri mattina, poi,
non era ancora uscita per la spesa, ed era rimasta così indenne
anche dalle discussioni che chioggiotti stupiti ed angosciati
intavolavano davanti ad ogni caffé, attorno ad ogni edicola.
Anche la signora
Aurelia Tiozzo non aveva letto i giornali e non era uscita di casa;
lo «choc» brutale del telegramma glielo ha risparmiato il cronista,
che la signora aveva sulle prime scambiato per un funzionario della
compagnia, giunto ad annunciare l’imminente ritorno del marito.
« E di questo
telegramma che devo farne? Aprirlo? Portarlo alla compagnia perché
lo telefonino sulla nave?».
- Lasci stare: se
ne occuperà suo marito che sta per ritornare.
Suo marito è il
secondo ufficiale Giordano Voltolina.
Che non sarebbe
tornato la signora Voltolina l’ha saputo per la strada: abita
vicinissimo alla famiglia del radiotelegrafista Giovanni Nordio e ai
genitori del ragazzo aveva chiesto le «novità»: le ha immaginate
dalle lacrime e dai singhiozzi, prima ancora di apprenderle dalle
frasi smozzicate.
«Ma mi dica lei: è
questo il modo? Un telegramma?»
Lo chiede Monsignor
Luigi Frizzero, parroco di San Giacomo che, non appena saputo, ha
visitato le famiglie dei suoi parrocchiani.
E c’è chi dice:
«Mia sorella, la moglie di Domenico Bonaldo, ha letto, e si è messa
letteralmente a urlare.
Per fortuna non era
sola in casa.
Ma un telegramma
così freddo, burocratico, senza una parola di troppo, nemmeno i
saluti! Sembra quasi un capolavoro di risparmio».
- Scusi, comandante
Mario Borsani, lei che è un dirigente della «Sana», pensa proprio
che non fosse possibile dire a tutta questa gente in una maniera un
poco meno disumana che qualche volta dal mare non si ritorna?
«Giudichi lei: noi
abbiamo marinai a Venezia, a Chioggia, a Trieste, a Molfetta. Noi
non siamo una compagnia importante, con tanti funzionari».
- D’accordo: anche
a Molfetta; ma forse non era tanto difficile mandare qualcuno a
Chioggia, dove le famiglie colpite sono sei.
«Siamo in pochi,
non abbiamo molto tempo. Ma da Mestre a Chioggia sono quaranta
chilometri, un’ora e mezza d’automobile tra andare e tornare. Non ho
nulla da dire».
Abbastanza da dire,
magari sottovoce, hanno invece i parenti dei dispersi e delle
vittime:
«Dal Fusina mio
nipote era sbarcato una volta con le mani gonfie e piagate; aveva
detto che c’era sempre moltissimo lavoro da fare per aggiustare gli
impianti».
«Mio marito mi
aveva raccontato che il viaggio precedente due marinai si erano
ubriacati, gli avevano perfino fatto paura. Mi ha detto che poi
erano stati sbarcati d’autorità».
«Mio fratello,
Domenico Bonaldo, non voleva più fare questa vita; era francamente
stufo. Aveva provato a cambiare lavoro e si era ritrovato manovale a
Marghera. Ma gli scioperi e l’abbonamento della corriera gli
dimezzavano quasi lo stipendio già scarso. E poi non gli restava
tempo per salutare i suoi figli. Voleva a tutti i costi una bambina:
dopo tre maschi gli era finalmente nata. Un anno fa; nemmeno».
- Comandante
Borsani, scusi: sono tutte vere queste faccende di persone che non
volevano più navigare, di uomini di mare che cercavano di
trasformarsi in manovali pur di finirla con questa vita?
E sono vere queste
faccende delle navi tagliuzzate dai «rattoppi» eseguiti a bordo?
Come mai più d’una
famiglia aveva sentito dire che per il «Fusina» era stato questo
l’ultimo viaggio con la società abruzzese di navigazione?
«No la nave non era
mai stata venduta. L’avevamo acquistata due anni fa. E l’avevamo
fatta revisionare in bacino. Ma poi non voglio parlare: tutti hanno
qualcosa da dire, da mormorare. Anche cose non vere. No: non
dichiaro più nulla».
- Scusi,
comandante: questa società «Abruzzese» con sede a Mestre, come mai
si chiama così?
Lei per caso è abruzzese?
«No: è una società
che esiste da tanti anni, forse trenta. Cambiano gli uomini, ma
rimane il nome».
Forse potrebbe
interessare la signora Spanio, e la signora Voltolina: gli uomini di
mare sono di poche parole, anche in famiglia; il lavoro spesso se lo
dimenticano a bordo, quando sbarcano, e quasi mai gli lasciano
varcare la porta di casa loro.
Qualche raro
accenno a piccole difficoltà ha fatto impensierire «dopo» più di un
congiunto : «Parlava tanto poco del lavoro, tanto raramente».
«Almeno rivederlo;
almeno che lo portassero qui. Non spero altro, ormai: non c’è altra
strada» dice la moglie di Felice Spanio. E sua madre, una donna
anziana scrolla il capo: «Finchè si è adulti, tutti ci si arrangia
in qualche modo. Ma i bambini No. Si erano sposati dieci anni fa, e
Antonella ha soltanto cinque anni e mezzo».
Poi continua in un
tono meno angosciato, questa vecchia signora: «Ma forse sono tutti
su un’isola, forse non possono scrivere. Magari ce lo vedremo
tornare a casa».
E nessuno le
risponde.
Fabio Isman |