Venezia, 2 febbraio 1970
Ugo Freguja, il
cameriere veneziano del «Fusina», unico superstite del naufragio
nel quale, la notte del 16 gennaio, morirono 18 uomini al largo
della Sardegna è tornato a casa la scorsa notte.
Ad attenderlo
all’aeroporto «Marco Polo» di Tessera era il padre, Pasquale.
Tra i due c’è stato
un lungo, silenzioso abbraccio, interrotto da un operaio
dell’aeroporto che, riconosciuto il superstite, ha voluto
felicitarsi con lui per lo scampato pericolo.
Per Freguja,
l’imbarco sul «Fusina» è stato l’ultimo della sua vita.
«Non tornerò più a
navigare – ha detto – nemmeno se mi riempiono d’oro.
Piuttosto farò
qualsiasi altro mestiere, l’inserviente, il facchino, ma non metterò
mai più piede su una nave.
Il cameriere del
«Fusina» ha, quindi, raccontato per l’ennesima volta l’avventura.
Salito sulla
coperta della nave, dapprima cercò, con gli altri membri
dell’equipaggio, di mettere in acqua la scialuppa; visto però,
inutile il tentativo e compreso ormai che la nave non si sarebbe
salvata, si tuffò in mare; prima di lui si erano gettati in acqua
altri due suoi compagni.
Ad una sessantina di metri dalla nave si voltò e la vide
inabissarsi.
Allora riprese a
nuotare con calma, sfruttando la corrente e le ondate che, in alcune
ore, lo sospinsero a riva.
Un «cavallone»
gli fece superare d’un balzo uno scoglio e lo gettò su una spiaggetta.
Poi, si mise a
cercare aiuto, incontrò un pescatore, dormì nella sua capanna e,
quando ce la fece a reggersi in piedi, raggiunse la capitaneria di
porto di Carloforte, dando la notizia del naufragio.
A casa, al Lido di
Venezia, sulla riva che guarda la laguna, Ugo Freguja si è
incontrato con la madre e con i fratelli.
E’ stato un
incontro commovente, festoso.
Ai suoi parenti
Freguja ha mostrato una croce d’argento che porta al collo, dono di
una ragazza, e l’orologio regalatogli dal suo amico d’infanzia
Brugnera, il giocatore del Cagliari, la cui abitazione è a due passi
da casa sua. |