Carloforte, 19
gennaio 1970
Sono diciotto i
morti del naufragio del «Fusina», la motonave affondata venerdì
notte nelle acque al largo di Capo Sandalo. Le speranze di trovare
qualche superstite sono svanite questa sera, al calar delle tenebre,
quando i mezzi di soccorso hanno sospeso le ricerche, che
riprenderanno nuovamente all’alba di domani. Il mare ha finora
restituito quattro cadaveri che sono stati ripescati stamani tra
Capo Rosso e Punta Cannoni e a sud-ovest dell’isola di San Pietro.
Le quattro salme, pietosamente composte, tre nella camera ardente
allestita a Carloforte e la quarta nell’obitorio di Sant’Antioco,
sono state identificate: sono quelle del direttore di macchina
Giorgio Renier, del nostromo Duilio Padoan, del cuoco Giovanni
Lenzovich e del marinaio Nicola Farinola, di 24 anni.
L’unico superstite
della tragedia, il cameriere Ugo Freguja, che da neppure un mese si
trovava bordo della motonave, non conosceva la maggior parte dei
suoi compagni e quindi non è stato in grado di procedere che al
riconoscimento di una delle vittime. Le sue condizioni sono comunque
assai migliorate e il giovane, superato il profondo choc, che lo ha
colpito, ha fornito più ampi particolar sull’allucinante dramma; ha
raccontato le terribili ore vissute in lotta con il mare nel
disperato tentativo di raggiungere la costa.
Le sue
dichiarazioni hanno permesso una più dettagliata ricostruzione della
spaventosa tragedia, di appurare che il «Fusina» non è colato a
picco d’improvviso senza nemmeno dare il tempo ai marinai d calare
in mare le scialuppe.
Egli ha spiegato
che l’S.O.S. è stato ripetutamente lanciato quando la nave – per uno
sbandamento del carico – si è inclinata paurosamente.
Il segnale di
soccorso non è stato, purtroppo, captato dal centro radio di Campu
Mannu (unico punto d’ascolto in grado di riceverlo; lungo la fascia
occidentale della Sardegna non ci sono, infatti, altre stazioni in
grado di ricevere appelli e messaggi di navi in pericolo), forse
perché, in quel momento, il mercantile si trovava in una «zona
d’ombra» per le comunicazioni radio in quanto le masse rocciose
assorbono l’energia magnetica impedendo la ricezione.
Né sono stati visti
i segnali luminosi lanciati dal comandante del «Fusina» che ha
sparato, inutilmente, numerosi razzi. Sul «Fusina» è allora
cominciata la tragedia. Alla calma è subentrato il panico, il
terrore; la frenesia di far presto ha creato scompiglio e disordine
e quando il comandante ha ordinato di abbandonare la nave, qualcuno
si è buttato in mare ma tanti altri presumibilmente paralizzati
dalla paura, sono rimasti a bordo e sono scomparsi con la nave,
risucchiati dal vortice creato dal mercantile che si inabissava.
Ugo Freguja, l’unico superstite, appare oggi più calmo, i suoi
ricordi sono più chiari anche se la sua voce rivela l’intimo dramma
che lo sconvolge. Parla lentamente, interrompendosi quando nella sua
mente riaffiora il ricordo di qualcuno che fino all’ultimo istante
gli è stato vicino, dell’amico che con lui si è gettato in mare nel
vano tentativo di salvarsi. Dopo aver ricordato che la «Fusina»
aveva lasciato Portovesme alle 21,15 di venerdì, Ugo Freguja, parla
subito del dramma.
«Eravamo in
navigazione da neppure due ore – dice – e già stavo in cuccetta,
dormendo. Mancavano forse una ventina di minuti alle 23 quando sono
stato svegliato da un violento scossone e quasi gettato a terra
dall’amaca. Ho sentito grida, invocazioni d’aiuto. La nave era
inclinata. Sono corso in coperta e ho visto i miei compagni tentare
di calare a mare le scialuppe».
In quel momento
sulla nave si scatena il finimondo: le strutture scricchiolano, ci
sono scene di panico, tutti urlano. Tutto lascia presagire il peggio
ed un marinaio esperto qual è Mario Catena, il comandante, stenta a
ristabilire la calma.
Ho sentito il
capitano – ricorda ancora Ugo Freguja – incitare il marconista a
lanciare l’S.O.S. quindi l’ho visto sparare alcuni razzi e altri
segnali luminosi. I tentativi di gettare in mare le scialuppe sono
stati inutili.
Poi il comandante
ha ordinato di infilarci i salvagenti e di abbandonare la nave. Due
miei compagni si sono gettati in acqua e non ho esitato a seguirli.
Ho nuotato vigorosamente per allontanarmi dal «Fusina» che si
inclinava sempre più, poi in lontananza, ho intravisto una luce
rossa che credo fosse quella di Capo Sandalo ed ho tentato di
raggiungerla.
Nuotavo già da
un’ora quando ho incontrato altri due compagni che poi ho perso
nuovamente di vista.
Quando già stavo
per toccare terra, ho sentito le
... [il testo qui risulta illegibile] ...
Carloforte, tra
Punta Senoglio e l’isolotto di Stea. In questo braccio di mare sono
state notate alcune chiazze di olio e di nafta e sono stati
recuperati dalla motocisterna «Gioritta» che ha partecipato alle
ricerche e cinque boccaporti del «Fusina».
Tale ritrovamento è
stato fatto stamani nel corso delle ricerche che sono state
coordinate dalla Capitaneria di porto di Cagliari e dal Comando
della Marina Militare ed alle quali hanno partecipato una decina di
navi, alcuni elicotteri ed un aereo del centro di soccorso di Elmas.
La motovedetta «CP
306», le fregate «Andromeda» e «Altair», i rimorchiatori
«Atleta» e «Tenace», la nave «Dades» la cisterna «Gioritta»,
le vedette della Guardia di Finanza, motopescherecci e unità di
piccolo cabotaggio hanno perlustrato per tutto il giorno e fino al
calar delle tenebre, lo specchio d’acqua antistante Capo Sandalo.
Alle 9,55 due
cadaveri sono stati avvistati dal pilota di un elicottero e qualche
minuto dopo gli altri due da un aereo.
Le operazioni di
recupero sono state effettuate dalla motovedetta «CP 306», che ha
ripescato tre corpi mentre il quarto è stato issato a bordo dal
rimorchiatore «Atleta».
Mentre le navi e
gli aerei perlustravano il mare, i carabinieri ispezionavano le
coste nella speranza che qualche altro superstite fosse riuscito a
raggiungere la riva. Queste ricerche hanno portato solo al
ritrovamento, sulla spiaggia di Cala Sapone, a Sant’Antioco, di una
cassetta foderata in stoffa verde che si ritiene facesse parte del
corredo di bordo del mercantile affondato.
Il riconoscimento delle tre salme è stato effettuato, in presenza
del pretore di Sant’Antioco, dottor Polo, oltre che da Ugo Freguja,
dall’ormeggiatore Pietro Nieddu, che conosceva tutti i membri
dell’equipaggio del «Fusina», che spesso gettava l’ancora a
Portovesme.
A tarda sera si è
comunque sparsa la voce che una delle tre salme recuperate potrebbe
essere quella del meccanico Francesco Ravalico e non di Giovanni
Lenzovich. Al dito del giovane è stata infatti trovata una fede
nuziale «Maria 21-2-1960». La moglie del Ravalico si chiama
appunto Maria e tale circostanza ha fatto pensare che la prima
identificazione potesse non essere quella giusta.
Per quanto riguarda
le cause del naufragio non si hanno ancora particolari molto
precisi.
Sembra – stando a
quanto dichiarato da Ugo Freguja – che la «Fusina» si sia
inclinata in seguito allo spostamento del carico.
A proposito
dell’affondamento del «Fusina», ha diramato un comunicato anche il
Ministero della Marina Mercantile nel quale si precisa …………………………….
Francesco Era |