A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Terza parte

Rassegna stampa regionale sarda

Articolo 01

LA NUOVA SARDEGNA
martedì 20 gennaio 1970
- prima pagina -

Confermato: Un solo superstite nel naufragio del «Fusina»
Recuperate quattro salme al largo di Capo Sandalo
Ugo Freguja ha identificato tutti i corpi.
Durante l’agonia del mercantile, durata un’ora, sono stati lanciati due SOS:
nessuno li ha raccolti

Dalla nostra redazione

Cagliari, 19 gennaio 1970

Le salme di quattro delle diciotto vittime dell’affondamento della motonave «Fusina» avvenuto venerdì notte nelle acque dell’Isola di San Pietro, sono state recuperate a pochi chilometri dal faro di Capo Sandalo. I corpi sono stati identificati dal cameriere Ugo Freguja, unico superstite della terrificante sciagura: sono quelli del direttore di macchina Giorgio Renier di 31 anni, del nostromo Duilio Padoan di 49 anni, dell’operaio meccanico Francesco Ravalico di 37 anni e dell’ingrassatore Nicola Farinosa di 24 anni. I primi tre corpi sono stati composti nella camera ardente allestita nel cimitero di Carloforte; quello di Farinosa si trova nell’obitorio di Sant’Antioco.

Oltre ai quattro cadaveri, sono stati recuperati diversi boccaporti, che si ritiene appartenessero alla «Fusina», mentre è stata avvistata e localizzata una larga chiazza di nafta, che dovrebbe indicare il punto nel quale il mercantile è colato a picco, risucchiando, presumibilmente, gran parte dei membri del suo equipaggio che non avevano avuto la possibilità di gettarsi per tempo in acqua e di allontanarsi sufficientemente dal punto in cui la nave affondava. Quasi certamente insieme alla nave è affondato il comandante Mario Catena di 52 anni. Ugo Freguja, infatti, ha dichiarato di averlo visto fino all’ultimo sul ponte, mentre letteralmente spingeva in acqua i marinai più restii.

Le ricerche erano riprese stamane all’alba nella zona di mare indicata dall’unico superstite, a circa sei miglia dal faro di Capo Sandalo. Vi partecipavano le fregate «Altair» e «Andromeda», il rimorchiatore «Atleta» e le motovedette della capitaneria di porto e della guardia di finanza che verso la mezzanotte erano partite da Cagliari. Poco dopo erano intervenuti anche un aereo e un elicottero del centro di soccorso di Elmas. Proprio dai due velivoli, alle ore 9, sono stati avvistati i quattro cadaveri, che galleggiavano dal faro di Capo Sandalo. I piloti hanno subito informato via radio le fregate e gli altri mezzi che partecipavano alle ricerche, indicando la posizione. Mezz’ora più tardi le navi hanno avvistato i corpi.

Nel frattempo la motocisterna «Gioritta», che era partita ieri sera da Sant’Antioco e che per tutta la notte era rimasta nella zona, recuperava cinque boccaporti di legno, che si presume appartenessero alla nave affondata.

Nella zona – due miglia a nord dell’isola di San Pietro – veniva pure avvistata una larga chiazza di nafta, che si pensa debba indicare il punto in cui la «Fusina» è colata a picco.

Sul posto si sono indirizzati i mezzi che partecipavano alle ricerche, informati dal comandante della petroliera. Alle 10,30 le fregate «Altair» e «Andromeda» raggiungevano il tratto di mare a due miglia dalla costa, nella zona chiamata «Cala di Mezzaluna», dove galleggiavano i quattro cadaveri e subito iniziavano le fasi di recupero.

Alla stessa ora, negli uffici della società armatrice «SANA», a Mestre, erano in angosciosa attesa di notizie i familiari dei quattordici marittimi iscritti ai compartimenti di Venezia e di Chioggia. Il direttore della società, capitano Mario Borsani, non poteva che dire, purtroppo, a tutti le stesse cose:«Le ricerche continuano, ma le speranze sono poche». Parlando delle possibili cause della sciagura, il capitano Borsani diceva:«Verso la fine di agosto la «Fusina» era entrata in bacino per una completa revisione di tutto lo scafo, tale revisione aveva accertato la perfetta condizione di tutte le strutture. Circa le cause, quindi, si possono fare solo congetture. Non possiamo dire, per il momento, che c’è stato uno sbandamento, come ha detto il cameriere Freguja, né che l’inclinamento è stato determinato da un violento colpo di mare, né, infine, che si è aperta una falla. Sono tutte supposizioni, ciascuna delle quali, oggi, può essere ritenuta valida».

Fra i parenti in attesa c’erano anche la moglie ed il figlio ventenne del comandante della nave scomparsa.

A Chioggia i navigli da pesca e da carico hanno alzato la bandiera a mezz’asta in segno di lutto. Sei membri dell’equipaggio della «Fusina» erano di Chioggia, tutti classificati «arditi lupi di mare» ad eccezione del mozzo quindicenne Angelo Barbieri, che era al suo primo imbarco.

Tranne il ragazzo ed il radiotelegrafista Giovanni Nordio erano tutti sposati, due dei quali con figli in tenera età.

Ore d’angosciosa attesa anche a Trieste. Qui risiede Maria Ravalico, di 29 anni, moglie dell’operaio meccanico il cui cadavere è stato recuperato questa mattina, con i due bambini Roberto e Sergio. Francesco Ravalico aveva trascorso in famiglia le feste di Natale ed il giorno di Capodanno aveva lasciato la moglie ed i bambini per imbarcarsi sulla «Fusina» (la nave era partita il giorno successivo da Venezia).

A Carloforte, intanto, mentre i mezzi della marina recuperavano i corpi dei quattro marittimi, veniva nuovamente interrogato il cameriere superstite, che oggi appariva in condizioni di salute soddisfacenti.

E’ stato così possibile apprendere ulteriori particolari sulla terrificante avventura di cui è stato protagonista Ugo Freguja. Il cameriere si è potuto salvare grazie al salvagente che è riuscito ad afferrare in extremis dal parapetto del ponte prima di cadere in acqua. «Ho visto – ha raccontato il superstite – altri compagni nuotare con il salvagente. Poi mi sono accorto che vicino a me era rimasto solo il marinaio Ballarin, che cercava disperatamente di guadagnare la riva. Il comandante l’ho visto per l’ultima volta in coperta, poco prima che la nave affondasse. Incitava tutti a gettarsi in acqua e ad allontanarsi il più possibile, dopo che aveva constatato l’impossibilità di utilizzare le scialuppe data la forte inclinazione della nave».

Ugo Freguja ha nuotato per circa otto ore, fino a raggiungere, allo stremo delle forze, la spiaggia di «Calavinagra» dove sabato mattina è stato soccorso dal pescatore Giacomo Prefumo. «Appena ho toccato terra – ha continuato il cameriere – mi sono attardato sulla spiaggia, un po’ perché non ce la facevo più e anche perché speravo di vedere qualche mio compagno. Avevo infatti l’impressione che qualcuno, almeno Ballarin, mi avesse seguito. Invece purtroppo, nulla».

Egli ha poi dichiarato che circa un’ora è durata l’agonia del mercantile e che nel frattempo è stato lanciato per due volte l’SOS. Inoltre sono state fatte numerose altre segnalazioni, tra cui il lancio di razzi, per richiamare l’attenzione di eventuali navi che incrociassero nella zona. I due drammatici, disperati appelli del comandante, però non sono stati raccolti perché il punto dove la nave è affondata si trova in un «cono d’ombra» per le comunicazioni radio, per cui l’energia magnetica viene assorbita dalle masse ferrose che impediscono la propagazione e quindi la ricezione a distanza dei segnali radio. Secondo il racconto di Ugo Freguja la nave è affondata nel giro di non meno di 45-60 minuti.

Verso le 17 i corpi dei quattro marittimi sono stati sbarcati, tre a Carloforte e uno a Sant’Antioco. Ugo Freguja ha identificato prima quello del direttore di macchina Giorgio Renier, del quale era molto amico. Il riconoscimento degli altri è stato piuttosto difficoltoso, in quanto il cameriere era imbarcato da poco tempo sulla «Fusina» e molti dei suoi compagni li conosceva solo per soprannome. Sono stati riconosciuti per alcuni elementi e caratteristiche particolari, attraverso i quali è stato possibile risalire ai nomi. Il nostromo Duilio Padoan era completamente vestito, aveva anche le scarpe, ed indossava il salvagente. Al collo portava una catenina d’oro, con una medaglia raffigurante da una parte la Madonna e dall’altra una piccola ancora con la scritta «Dio ti protegga». Il terzo era il corpo di Francesco Ravalico, del quale Freguja conosceva solo il nome di battesimo. Aveva solo le mutande ed indossava un salvagente a giubbotto. Al dito portava la fede matrimoniale con un nome, Maria, e una data 21 febbraio 1960.

Ugo Freguja, insieme al pretore dott. Antonio Polo, si è recato nel tardo pomeriggio, a Sant’Antioco, dove ha riconosciuto il quarto dei corpi finora recuperati era dell’ingrassatore Nicola Farinola di 24 anni, da Molfetta. Aveva ancora il salvagente.

Domattina il cameriere superstite tornerà a Carloforte per essere nuovamente interrogato dai dirigenti dell’ufficio circondariale marittimo.

Sul naufragio sono state aperte due inchieste: una, coordinata dalla capitaneria di porto di Cagliari, dalle competenti autorità marittime, ed una giudiziaria condotta dal pretore di Sant’Antioco. Per domattina, provenienti da Varese, sono attesi a Carloforte i familiari delle vittime, dirigenti della società armatrice e l’ispettore generale inviato dal ministero della Marina mercantile.

Milvio Atzori

Continua...

Fine terza parte - Articolo 01

 

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