(DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE)
Cagliari, 23 gennaio
Neppure il corteo funebre di stamane, che ha accompagnato alla
nave-traghetto, sul molo di Carloforte, le salme degli ultimi tre
marinai del «Fusina», recuperate fra gli scogli, era così mesto
come è stata la partenza delle barche dei pescatori per le scogliere
di San Pietro, poco dopo l’alba.
Sul mare, piatto come uno specchio, le vogate si stampavano lente e
le imbarcazioni e il silenzio sapevano di funerale.
C’era anche la barca del fratello di Mario Catena, il comandante
della nave inabissatasi, diretta al largo.
E c’erano quelle dei vigili del fuoco, con a bordo il tritolo da
usare per aprirsi un varco fra i massi del piccolo atollo, dove
galleggiava ancora il corpo avvistato mercoledì sera e che invano si
era tentato di recuperare.
La popolazione era addensata sulla banchina, per salutare, con la
sua presenza, quelli che ripartivano per le loro case dentro una
bara, quando le cariche esplodevano a «La Caletta» e l’eco
arrivava alla gente.
«Morti per niente» è il solo commento che abbiamo sentito.
Lo abbiamo scritto ieri: alcuni sono arrivati a riva e il freddo li
ha uccisi dopo che gli scogli avevano bloccato ogni loro speranza.
Cinque degli uomini del «Fusina» sarebbero infatti riusciti a
toccare terra; quattro sarebbero morti in seguito alle ferite subite
nell’urto con gli scogli contro i quali furono scagliati dalla
violenza delle onde, il quinto sarebbe riuscito ad arrampicarsi
sulle scogliere, ma poi, esausto, non sarebbe riuscito a raggiungere
un riparo e sarebbe morto per assideramento.
A queste conclusioni è giunto il dottor Felice Maurandi, un medico
di Carloforte, incaricato dal Pretore di Sant’Antioco, dott. Polo,
di fare la perizia necroscopica.
Il dottor Maurandi, che ha esaminato le otto salme portate a
Carloforte (una fu portata a Sant’Antioco, l’altra a Cagliari), ha
detto che gli altri tre marinai del «Fusina» sono morti in mare.
Il bilancio del naufragio - secondo le risultanze della perizia
fatta dal dottor Maurandi - avrebbe dunque potuto essere meno
drammatico se i cinque uomini avessero toccato terra in una zona
meno frastagliata, come avvenne per il cameriere di bordo Ugo
Freguia, che è l’unico ad essersi salvato.
Poco dopo, il traghetto era già di ritorno, dopo aver toccato la
Sardegna; l’imbarcazione dei vigili è tornata a riva con un telo
steso sul ponte per celare la salma recuperata, Freguia e De Simone
l’hanno poi identificata:era quella del cuoco di bordo Giovanni
Lenzovich di 57 anni, abitante a Mestre.
Le ricerche compiute oggi non hanno dato alcun esito e sarà
difficile che le altre salme possano essere recuperate, adesso che
le correnti hanno avuto il tempo di sospingerle secondo il loro
capriccio.
Intanto le navi della Marina Militare, che scandagliano il fondo del
mare hanno localizzato un relitto, a due miglia e mezzo al largo di
Capo Sandalo; l’individuazione è avvenuta a mezzo di scandagli
sonori e di apparecchiature elettriche.
Si ritiene che lo scafo - che giace fra i 70 e gli 80 metri di
profondità - sia quello del «Fusina» e pertanto le autorità
militari hanno chiesto attrezzature adatte all’esplorazione
subacquea e telecamere che possano consentire di identificare il
relitto con certezza.
Se è il «Fusina» sapremo forse la verità: se il carico ha prodotto
l’affondamento, se era stato assicurato come è prescritto, se gli
apparati R.T. erano efficienti.
Immediatamente dopo la localizzazione dal punto presunto del
naufragio, sono state fatte prove di ricezione radio telegrafica per
appurare se la zona sia effettivamente in ombra rispetto alle
stazioni riceventi della costa.
I primi risultati sembrano confermare la difficoltà di ricevere i
segnali emessi da quel punto.
Essi sono infatti risultati assai deboli.
Quello che deve esser fatto è sopratutto questo: rivedere subito le
condizioni nelle quali gli uomini di mare lavorano e vivono;
installare stazioni radiotelegrafiche e radiogoniometriche.
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