A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

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16.01.2010 - Fusina - Nel 40° anniversario della tragedia che toccò il cuore dei Carlofortini
   

La tragedia del Fusina

Settima parte

Rassegna stampa nazionale

Articolo 11

IL GAZZETTINO
Edizione della Provincia di Venezia

mercoledì 21 gennaio 1970
- pagina 7 -

Forse saranno sepolti accanto ai morti della «Luisa»
gli sventurati del cargo veneziano
NEL SACRARIO DEL MARIPORT I CADUTI DEL «FUSINA»?
Il parere di sindacalisti e assicuratori sulla tragedia del mercantile

Da Cagliari, ormai, arrivano soltanto le notizie temute, eppur insieme attese : il mare restituisce le salme delle vittime del «Fusina».

Il «miracolo» non avviene. Nelle case, dove ormai la speranza è perduta, ma non vuole ancora morire, tra gli amici, tra i conoscenti, ora si attende solo la fine dell’incubo; si attende di sapere che, almeno, ci sarà una bara su cui piangere, su cui sfogare nel pianto l’angoscia di queste ore così lunghe.

Da Venezia è partito il capitano De Simone, della società Sana: provvederà al riconoscimento delle salme, e deciderà per il loro trasporto.

Affiancherà nel triste compito l’agente cagliaritano della società, Masia. Nell’ufficio della Sana, a Mestre, attorno al capitano Borsani, che è in piedi dalla notte del tragico annuncio, si affollano i familiari dei dispersi.

Per i funerali, nulla è stato deciso: non si sa né quando né dove saranno fatti. Per ora, si attende che tutte le salme siano recuperate.

Intanto, una iniziativa è stata presa dall’Opera Mariport : è stato proposto di raccogliere le salme dei morti veneziani (e forse anche degli altri) nel Sacrario nazionale dei caduti del mare che sorge sul Molo “A” di Porto Marghera.

Le salme dei caduti del «Fusina» sarebbero tumulate nella cappella, dove già sono sepolti i morti nell’esplosione della «Luisa». Naturalmente, occorre attendere che le famiglie diano il loro consenso.

In città, a Mestre, a Chioggia, nei paesi della terraferma l’emozione è ancora assai viva.

Abbiamo raccolto ieri i pareri di due sindacalisti, Giovanni Tregnaghi, della Uil, un uomo di mare che ha navigato per 43 anni, e Flavio Grubissa, della Cisl.

Entrambi ci hanno voluto sottolineare il fatto che i marittimi del «Fusina» non fossero imbarcati con il contratto collettivo nazionale, bensì a «compartecipazione»: una forma legale, ma che i sindacati sperano sia resa illegale dal prossimo contratto di lavoro.

In pratica, ci è stato spiegato, chi accetta tale tipo di contratto, lo stipula direttamente con l’armatore (e già con questo viene a perdere le garanzie di una contrattazione «appoggiata» e controllata dai sindacati); riceve un minimo di stipendio (una paga «molto bassa») arricchito a fine viaggio da una «busta» per ogni componente dell’equipaggio, che pareggia sì – in genere – la somma che spetta a quanti viaggiano con contratto regolare, ma con una gran parte della stessa somma, che non è calcolata per la pensione, l’assistenza, ecc.

Quanto alla tragedia del «Fusina», Trignaghi – che è uno degli «esperti» sindacali per la visita tecnica e sanitaria – ha parlato di una nave «abbastanza buona» con «un equipaggio regolare e qualificato» e ha escluso che nelle assunzioni e nella composizione dell’equipaggio ci siano state irregolarità di qualunque tipo.

Un altro aspetto della tragedia sul quale abbiamo compiuto una piccola «inchiesta» è quello assicurativo.

Il «Fusina» era assicurato presso la Siat, una associata della Sai.

Alla Siat di Venezia ci hanno che la polizza era stata stipulata presso la sede della Siat di Genova, soltanto per i «corpi» (cioè per la nave), mentre per la merce che la nave portava era stata contratta un’assicurazione con la «Levante» pure di Genova. Alla Siat di Genova il dirigente responsabile non ha voluto né confermarci né smentirci la notizia, affermando di non poter compiere le necessarie «indagini molto lunghe» per accertare se la cosa era vera, dato che è in corso una indagine ufficiale sul naufragio.

Alla «Levante», invece, sono state compiute subito le ricerche: pochi minuti dopo, ci è stato assicurato che non risultava che il carico di blenda trasportato dal «Fusina» fosse stato assicurato presso quella società.

Per quanto riguarda invece l’assicurazione sulla vita dei marittimi, essa è uguale per tutti, anche con il contratto a «compartecipazione».

Le società assicuratrici – ci è stato poi spiegato – non compiono una loro inchiesta, vengono comunque invitate a partecipare con propri esperti a quella ufficiale delle autorità.

In genere, in caso di disastro navale, le Assicurazioni pagano, anche qualora vi siano state negligenze o fatti colposi da parte dell’equipaggio o dell’armatore; unica condizione per non risarcire il danno è che sia dimostrato (ma nel caso specifico è escluso) un eventuale dolo da parte dell’armatore (o da parte di qualcuno per interesse dell’armatore).

Numerosi telegrammi di partecipazione alla tragedia che ha colpito tante famiglie e tutta la marineria veneziana, in seguito all’affondamento del mercantile «Fusina», sono pervenuti nella giornata di ieri al capitano Mario Borsani, dirigente della Società Sana, alla quale apparteneva la nave affondata.

L’ing. Giovanni Favaretto Fisca, nella veste sia di sindaco di Venezia che di Presidente della Comunità dei porti adriatici, ha scritto:«Interpretando sentimenti costernata partecipazione delle popolazioni adriatiche, pregola far pervenire al superstite e alle famiglie duramente colpite dell’equipaggio del «Fusina», tragicamente disperso, i sentimenti miei personali e a nome della Comunità dei porti adriatici di profondo commosso cordoglio».

Anche Gianni Bartoli, ex sindaco di Trieste, e Presidente del Lloyd triestino , ha inviato un messaggio.

L’Associazione armatori dell’adriatico occidentale ha inviato alla Sana questo telegramma:«Profondamente colpiti grave notizia naufragio motonave «Fusina» esprimiamo codesta Società et famiglie marittimi scomparsi sentimenti viva solidarietà et commosso cordoglio. Armamento veneziano».

Altri telegrammi di partecipazione e di cordoglio sono stati inviati dalla Montecatini Edison (per la quale la «Fusina» stava compiendo il viaggio) la Esso di Porto Marghera e la Società Oceanic.

Sulla tragedia del «Fusina» i deputati veneziani Degan, Boldrin e Miotti Carli hanno rivolto al ministro della Marina mercantile una interrogazione:«Sulle circostanze ed eventuali responsabilità che hanno determinato il tragico naufragio.

In particolare si desidera conoscere il motivo per cui l’SOS non sia stato raccolto da alcun posto di ascolto, non consentendo pertanto alcuna opera di soccorso.

Si chiede, inoltre, quali provvedimenti si intendono assumere per sanare le dimostrate deficienze nel sistema dei servizi di assistenza e sicurezza nella navigazione e quali provvidenze disporre in favore delle famiglie colpite».

(fine dell’articolo, non firmato)

Aiuterà a riconoscere le salme
Il Sindaco di Chioggia partito per Carloforte

«La sua è una famiglia di pescatori: erano perfino padroni di barche.

Lui però ha sempre navigato soto paron: lo faceva per sua figlia, essenzialmente, e per aver diritto in futuro ad una pensione maggiore aveva accettato questo imbarco, questo imbarco grando.

«Lui» è Felice Spanio, uno dei sei chioggiotti (il settimo si era trasferito da poco a Mestre, che la sciagura del «Fusina» ha coinvolto).

Forse sei persone su una popolazione di quasi cinquantamila abitanti non costituiscono una percentuale degna di nota.

Ma lo diventano certamente se i sei sono uomini di mare, e se la popolazione è quella di Chioggia, una città i cui legami con il mare sono profondi quanto in pochi altri luoghi può accadere.

Tutta Chioggia è sotto «choc», ognuno ha trovato – tristemente – un argomento di conversazione, di discussione, di dolore anche.

Tanto più, poi, perché i chioggiotti costituiscono una comunità fortemente imparentata: le famiglie sono numerose, e in questi momenti improvvisamente si riscoprono patriarcali.

Anche per questi motivi il sindaco di Chioggia avv. Michele Bighin che da qualche giorno si trova a Roma, ha deciso, anziché tornare subito a casa di raggiungere Carloforte – da dove sono coordinati i soccorsi e dove a poco a poco vengono riunite le salme che il mare restituisce – per assistere alle operazioni di recupero e di identificazione dei corpi dei suoi concittadini.

A Chioggia il mare è più che di casa, anche se dal dopoguerra in poi l’attività mercantile è andata declinando, ma non quella peschereccia: il mare viene quasi personificato: è un conoscente noto.

Fino a due giorni fa dicevano anche che era un «amico caro», ma ora queste parole più nessuno è disposto a ripeterle.

«Choc» ed angoscia: quasi un tradimento, un affronto, questo mare cattivo.

Le famiglie colpite, quale per un verso quale per un altro, hanno ognuna una situazione che rende ancor più grave la tragedia.

La moglie del secondo ufficiale, Giordano Voltolina, ha perduto da pochi mesi la madre e sempre di recente è scomparso anche il fratello del secondo ufficiale; viveva da sola in attesa delle pause di imbarco del marito che ora non tornerà più.

In attesa anche di quella pensione per ottenere la quale Giordano Voltolina era ritornato sulle navi, a lavorare.

Domenico Bonaldo aveva 37 anni (ormai purtroppo, l’imperfetto è abbastanza giustificato); si era sposato molto giovane, ed erano nati Osvaldo di 16 anni, Luciano di 12, Denni di 8 ed infine Orietta: «Voleva a tutti i costi una figlia: è nata soltanto da un anno e lui non ha davvero potuto godersela molto, tra un viaggio e l’altro».

In casa Bonaldo, subito dopo le prime notizie frammentarie, si sono riuniti in molti; quando è arrivato il Parroco, la sorella di Domenico colta da violento «choc» al pari della moglie, ha cominciato a smaniare; mons. Luigi Frizziero ha dovuto quasi urlare:«Non è morto! Non si sa ancora: magari c’è speranza.

Bisogna stringere i denti».

Il tutto contrappuntato da un intreccio di lamenti, di urla, di imprecazioni anche. Il mare traditore, ecco: l’amico di cui ti fidi e che ti colpisce in modo crudele.

Chioggia ora è così: il mare le ha strappato sei figli tra i più onorati, sei di quelli che erano riusciti a lavorare sulle «navi grandi» e che perciò guadagnavano relativamente più degli altri.

Sei uomini per i quali il domani non sarebbe stato un posto di manovale in una fabbrica lontana, che non avrebbero mai dovuto salutare la loro vocazione più autentica. «E pensare – dice tristemente la signora Spanio – che in famiglia si era contenti di questo imbarco su una nave più grande.

Tutti temevamo semmai i mercantili piccoli, ci sembrava che questa barca sarebbe stata ancor più sicura».

E adesso al pianto si unisce la rabbia di questa contentezza d’una volta, le lacrime si fanno ancor più amare, il dolore ancor più cocente.

Se mai è possibile.

F. I.
Fine dell’articolo, corredato da una foto con la seguente didascalia:
La moglie di Domenico Bonaldo,
Agnese Varisco, con il secondogenito Luciano di 12 anni,
Denni di 8 e la piccola Orietta

«NON VENIRE, NON C’E’ BISOGNO»
Freguia ha telefonato ad un fratello a Roma

Ugo Freguia, il cameriere della «Fusina» unico sopravvissuto nel disastro, per i familiari abitanti al Lido è tuttora irraggiungibile.

Di quanti si sono interessati alla sua sorte i genitori sono gli unici, che ne hanno notizie indirette, soprattutto, dice il padre Pasquale, «per radio e televisione».

La storia è curiosa.

Pasquale Freguia è stato molto cauto - la moglie, sofferente di cuore, non potrebbe affrontare più di tante emozioni - nell’agire e soprattutto nel parlare.

Tre volte, in due giorni, ha telefonato in Sardegna, e per tre volte le notizie del figlio gliele hanno date gli altri.

Mai Ugo si è presentato all’apparecchio, per dargli dirette notizie di sé: e Pasquale Freguia sulle prime non ha sottilizzato.

«Mi dicono che è stanco, ancora non si rimette dallo choc, è inutile insistere».

Poi però ne ha sentito la voce alla radio, lo ha visto alla televisione tra un mucchio di gente: dunque lo stress è passato.

E allora?

E il fratello che vive a Roma, e che fino a ieri sembrava deciso a partir lui per la Sardegna, per ristabilire finalmente un diretto contatto?

«No, non si è mosso da Roma.

Ormai, l’abbiamo visto più volte, le notizie son buone, non ci sarebbe scopo a muoversi buttando denaro in viaggi superflui…

I due fratelli del resto si sono parlati per telefono, e da Roma l’altro figlio ci ha tranquillizzati anch’egli.

Dice che Ugo insiste perché nessuno vada da lui, e nessuno qui a Venezia si faccia vivo.

Va bene così!».

Pasquale Freguia, ora si augura semplicemente che il figlio ritorni a casa al più presto.

«Se dice che non vuol parlare, è chiaro che calcola di tornare da noi da un momento all’altro, ed io non vedo l’ora che arrivi per sottoporlo difilato ad una accurata visita di controllo.

Lo so, sta bene, l’ho visto che è in piedi: ma santo Dio, è stato per ore nell’acqua gelata, chi può dire che non si trascini addosso qualche brutta conseguenza?

Qui rifaremo tutto da capo, vogliamo esser tranquilli».

Un vecchio «lupo di mare», Giovanni Tregnaghi, intervistato anche per conoscere l parere dei sindacati (ne riferiamo in altro articolo), ha avuto parole di ammirazione per Ugo Freguia.

«Dovrebbero dare la medaglia d’oro a quel ragazzo» ci ha detto.

«Conosco molto bene il mare nel quale ha nuotato per tante ore: vi assicuro che mi sembra impossibile che ce l’abbia fatta.

Deve avere proprio un bel fegataccio.

Quello è un eroe del mare».

Continua...

Fine settima parte - Articolo 11

 

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