Nostro servizio
Cagliari, 28 gennaio
Longitudine 39
gradi 12’ 12” nord, latitudine 8 gradi 14’ est: una croce sulla
carta nautica, indicazione ed assieme simbolo del naufragio del
“Fusina”.
In quel punto,
infatti, il mercantile italiano si inabissò, coinvolgendo nella sua
fine quella di diciotto persone.
La localizzazione
del relitto – di cui avevamo dato notizia, col dubbio, qualche
giorno fa – è stata confermata.
Ugo Freguia,
l’unico superstite del naufragio, (che è ormai considerato cittadino
di Carloforte dalla popolazione che lo ospita), dopo aver
riconosciuto i corpi dei suoi sventurati compagni, adesso riconosce
i frammenti della sua nave.
Oggi era la prima
volta che Freguia rimetteva piede su una imbarcazione, dopo la notte
del naufragio.
Si è trovato a
reperti del “Fusina”, fangosi e già intaccati dall’acqua di mare,
ammucchiati a poppa del rimorchiatore “Atleta” che li aveva issati a
bordo in mattinata.
C’erano parti di
legno, di metallo e blenda ormai intrisa di fango, quella stessa che
forse è stata la causa del tragico sinistro.
E si è avuta la
conferma: (quel dieci per cento che, prudentemente ci si riservava)
era proprio il cargo veneziano affondato, la massa ferrosa che era
stata rilevata a due miglia e mezzo da Punta delle Oche, a nordovest
di Carloforte.
Si era certi fin
dall’altro ieri, sul punto in cui giaceva il relitto (dove la «Giomitto»
- una nave partita sabato dalla Sardegna – aveva notato la chiazza
di nafta); si era infatti localizzata la massa che aveva restituito
alle navi militari gli echi dei sonar.
;a poteva trattarsi
di un vecchio scafo di nave affondata durante la guerra.
Bisognava, quindi, controllare tutto attorno per escludere che ci
fossero altri relitti.
Questo, in due
giorni di duro lavoro, la «Scimitarra», l’«Andromeda» e l’«Altair»,
le tre unità della Marina Militare, lo hanno fatto.
Poi, per sicurezza,
sono stati chiamati due aerei antisommergibili, che hanno ripassato
di fino il lavoro fatto, a pelo di mare, confermando i risultati.
Infine è stato chiamato Vitiello.
Silverio Vitiello è
un vecchio pescatore di Carloforte, conosce i fondali meglio di
piazza Carlo Emanuele, è padrone di barche ed ha perlustrato ogni
metro d’acqua attorno a Sant’Antioco, trovando alcuni dei corpi che
sono stati recuperati.
La sua esperienza di fondali è stata decisiva, e così le telecamere,
quando sono state immerse, hanno visto giusto in mezzo al fango,
anche se non sono riuscite a leggere il nome scritto a poppa della
nave.
Il “Fusina è nel
punto segnalato, a novanta metri di profondità, con orientamento tra
i 60-80 e i 240- 260 gradi.
La prua deve avere
la prima direzione, cioè grosso modo, verso il quadrante di Nord
Est.
Questo lo si può
rilevare considerando che il relitto appare inclinato sul lato
dritto, cioè all’opposto rispetto al vento di maestrale che
sospingeva le onde sulle murate di sinistra, mentre la nave
viaggiava verso il Nord.
Sembra dunque – ma
questo lo appurerà la commissione d’inchiesta – che il mercantile
abbia proprio “ingavonato” per lo spostamento del carico di blenda,
forse umida più del consentito, e quindi ridotta ad una poltiglia
fluttuante nelle stive.
Ugo Freguia, nel
mettere piede sul rimorchiatore che rollava a causa del mare di
nuovo battuto dal maestrale, ha avuto un attimo di incertezza: la
stessa atmosfera della sua nave, il ponte di metallo con la ruggine
del salso, i cavi, gli uomini uguali a tutti i marinai del mondo.
Poi si è
avvicinato, con una certa emozione, ai reperti del “Fusina” e li ha
osservati, cercando di collocarli come parti di un mosaico di
tremila tonnellate scomparso tutt’assieme, alle 22,30 di quindici
giorni fa e ora emergenti – legno, vernice di carena, blenda – come
frammenti di uno scrigno che custodisce gli elementi di una tragedia
di cui, adesso, si può sperare di conoscere la causa.
Restano ora, ancora
da trovare, i corpi di cinque marinai del “Fusina”.
Li cercano sempre,
lungo le coste e al largo, ma Dio solo sa dove possono essere.
D.S.
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