Carloforte, 18 gennaio
2004
CARLOFORTE. È stato
un grande giorno di festa ieri, per tutti i tabarkini. Si celebrava
il 17 gennaio, tradizionale e imperdibile inizio del carnevale
locale, fatto di canti, balli e ricchi spuntini in campagna. Lo fu
anche in quel fine settimana tragico del 1970, quando nessuno, in
giro a far baldoria, sapeva della tragedia accorsa la notte prima in
mezzo al mare. Uno degli episodi più tristi che la storia carolina
ricordi, l’affondamento di un mercantile da carico e la morte di
quasi tutto l’equipaggio. Si trattava della motonave Fusina, in
viaggio sulla “rotta della blenda” (un minerale di piombo estratto
nel Sulcis), tra Portovesme e Porto Marghera.
Nel pomeriggio del
16 gennaio, la nave stava ultimando di caricare il minerale
depositato in banchina, mentre imperversava un forte temporale e la
pioggia rendeva il carico sempre più viscido e insidioso. Lasciati
gli ormeggi verso le 18, si avviava ad affrontare il mare in
tempesta, con le 4mila tonnellata di blenda mal stivata che
cominciano a ballare, a causa del mare e dello stato quasi liquido
raggiunto.
Due ore dopo circa,
il dramma: l’instabilità del minerale, dopo un’onda anomala, sbanda
lo scafo e, in pochi minuti, capovolge la nave che si inabissa
all’istante, permettendo appena ai 18 membri dell’equipaggio di
gettarsi in mare senza lanciare nessun SOS.
Era al largo di
Capo Sandalo, su un fondale di un centinaio di metri. La burrasca
trascinò gli uomini per ogni dove, la maggior parte lungo la costa
nord ovest dell’isola. Ma il problema principale era toccare terra,
vista la forza dei marosi sulle ripide e aspre scogliere della zona.
Il più fortunato
(unico superstite) fu il cameriere veneto Ugo Freguja, che riuscì a
farsi trasportare dentro il Canale di Cala Vinagra. Stremato e
infreddolito, sfondò la porta della prima casa che vide e, non
essendoci coperte, si riparò in mezzo a due materassi. Dormì tutto
il giorno seguente. Svegliatosi la mattina del 18, cercò soccorso,
trovando un contadino della zona e suo figlio che, tornato da
caccia, lo accompagnò subito in Capitaneria per raccontare il fatto.
Scattò un’immediata
ricerca, che coinvolse tutti.
Per mare (il
destino volle una calma piatta seguente), con sette mezzi della
Marina Militare e della Guardia di finanza, oltre a parecchi
pescatori carolini, e a terra, tra cui gli studenti del Nautico.
Seguirono scene raccapriccianti, con diversi corpi finiti sugli
scogli, compreso un gruppetto di cinque dentro una grotta, seminudi
e morti assiderati. Altri cadaveri furono trovati da pescatori in
mare, da navi lungo il Canale di Sardegna e presso la costa di
Sant’Antioco.
Un mesto e
ininterrotto pellegrinaggio si formò all’obitorio comunale per il
riconoscimento delle salme, mentre giungevano sull’isola i
giornalisti e i parenti veneti delle vittime. Il 19 fu proclamato
lutto cittadino e fu celebrata a San Carlo una messa, di fronte alle
prime salme rinvenute e al sottosegretario alla Marina Mercantile
Salvatore Mannironi, al quale un gruppo di giovani consegnò una
lettera aperta richiedendo l’installazione di una stazione di
soccorso radio, ancora assente a Carloforte.
Due anni dopo,
insieme alla stazione radio, su iniziativa del parroco Daniele Agus,
fu apposta una lapide col nome di tutti i naufraghi deceduti, presso
la Stella Maris nel molo San Carlo. Al cameriere Freguja, invece,
l’amico e bandiera del Cagliari Brugnera regalò un orologio d’oro,
come gesto di solidarietà.
Ogni anno, nel
festeggiare il 17, un pensiero corre lontano sulla tragica rotta del
Fusina colato a picco in una notte di burrasca.
Simone Repetto |