A cura di Salvatore Borghero Rodin

     

 

 
 

A cura di Salvatore Borghero Rodin - Racconto a puntate sui principali eventi che hanno dato vita alla grande storia di Carloforte e dell'Isola di San Pietro

Indice generale della rubrica "La grande Storia di Carloforte"

 

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Monumenti antichi dell’Isola di San Pietro

Prima parte

L’Isola di San Pietro

L’isola di San Pietro è:
L’ Inosim dei fenici.
L’ Insula Accipitrum dei Romani
L’Ieracon nesos dei Greci

La prima traccia di un monumento antico rilevabile in un documento, prima della colonizzazione del 1738, riguarda l’antica chiesetta dei Nuovi Innocenti, sita in località Fontane.

Chiesetta dei
Novelli Innocenti

Si rileva da un documento scritto in latino da Alberico, monaco trinitario dell’abbazia cistercense delle Tre Fontane, nei pressi di Chalons-sur-Marne, non molto distante da Cervofreddo, che tra il 1230 ed il 1240 scrisse il Chronicon.

L’opera è stata pubblicata in Monumenta Germaniae Historia vol. XXIII e in Rerum Gallicarum Et Francorum Scriptores Tom. XVIII, n.744 (1698).

La traduzione di ciò che ha scritto è la seguente:

Nell’anno 1212 venne fatta una spedizione di bambini i quali convergendo quasi miracolosamente da ogni parte ed essendosi riuniti a Vendome, presso Parigi, vennero a Marsiglia essendo circa trecentomila, come se volessero attraversare il mare contro i Saraceni.

Alcuni ribaldi e uomini malvagi che si erano uniti agli stessi corruppero tutto l’esercito, poiché alcuni bambini morirono in mare, altri furono venduti e pochi rispetto a tanta moltitudine ritornarono a casa.

Tuttavia a riguardo di quelli che si salvarono il Papa emanò un precetto, affinché quando fosse giunto il momento, attraversassero il mare con una croce impressa.

E così i traditori dei bambini si dice fossero Hugo Ferreus e Guillelmus Porcus, mercanti di Marsiglia, i quali , essendo armatori delle navi, dovevano così come avevano loro promesso per la causa di Dio, senza ricompensa, condurli oltre mare.

Riempirono con essi sette grandi navi, e quando giunsero dopo due giorni di navigazione verso l’isola di San Pietro, alla rupe che viene chiamata del Recluso, scoppiata una tempesta, due delle navi colarono a picco, e tutti i bambini su quelle navi annegarono.

E, come si dice, dopo alcuni anni Papa Gregorio IX fece erigere in quell’isola la chiesa dei Nuovi Innocenti, e introdusse dodici prebendari.

In quella chiesa ci sono i corpi dei bambini gettati a riva dal mare, ed inoltre si mostrano integri ai pellegrini.

I traditori, d’altra parte, condussero le cinque navi restanti fino a Bugia e ad Alessandria, dove una volta giunti tutti quei bambini vennero venduti ai Principi Saraceni e ai Mercanti.

Il Califfo comprò quattrocento di loro, tutti chierici, che volle così separare dagli altri ottocento che erano presbiteri, e che, come era sua abitudine, trattò tutti onestamente e con onorevoli gesti.

Nello stesso anno in cui i bambini furono venduti, i Principi Saraceni che erano riuniti a Bagdad, uccisero con ogni sorta di tortura diciotto bambini che avevano rifiutato di abiurare la fede Cristiana, mentre tutto il resto visse diligentemente in cattività.

Tra i chierici nominati sopra e che erano stati comprati dal Califfo, ve ne fu uno che vide e riferì fedelmente di non avere mai sentito che alcuno di detti bambini aveva abiurato la fede cristiana.

I due traditori sopraccitati Hugo Ferreus e Guillelmus Porcus, andarono dal Principe dei Saraceni in Sicilia Mirabello, e con lui vollero cospirare per tradire l’Imperatore Federico.

Ma l’Imperatore, offerente a Dio, trionfò su di loro e impiccò sullo stesso patibolo sia Mirabello coi suoi due figli e quei traditori.

Dopo diciotto anni la persona che riferì tutto ciò aggiunse che Maschemach di Alessandria teneva in buone condizioni settecento di essi che non erano più bambini ma uomini forti.

 

Nel “Lo compasso de Navegare”, scritto intorno al 1250 ca., e pubblicato da Bachisio Raimondo Motzo negli Annali della facoltà di lettere e filosofia di Cagliari; Vol.VIII; 1947; si estrae quanto segue:

"...la dicta isola de sancto Piero è bono porto denanti la chiegia, che è en na dicta isola da parte de Sardegna. En la bocca de la dicta isola, da ver Tramontana è una isola peticta.

Enter quella isolecta e Sardegna è una altra L’isola de Sam Piero vederete plana e socctile da levante, e da ponente grossa, e de fora è rossa, et à faillione rosso e retondo..."

Successivamente Ioannis Francisci Farae nel Liber I del: In Sardiniae Chorographiam – De Insulis Sardiniae adiacentibus – scritto fra il 1580 e il 1590 e a proposito scrive:

Hieracum, hoc est Accipitrum, insula a Ptolemaeo, nunc S.ti Petri ab eius templo in ea constructo appellata, est ambitus 25 m. pass. et cum propincua insula S.ti Antiochi portum cuiusvis classis capacissimun efficit. Hieracum, o Isola degli Avvoltoi, così Tolomeo, oggi San Pietro dal nome della chiesa ivi eretta, ha una linea di costa di 25 miglia e con la vicina isola di Sant’Antioco forma un porto in grado di dar riparo a qualsiasi flotta.
Solum habet montuosum et asperum, pinetis sylvestribus abundantem, mare pisculentum in quo etiam thynnorum piscatio est optima; Il suo territorio è montuoso e scosceso, fitto di pini silvestri, il mare circostante è pescoso ed anche qui è possibile un abbondante mattanza di tonni.
fuitque olim habitata, ut sacellum in ea conditum et alia antiqua docent monumenta, sed nunc deserta capris et porcis sylvestribus atque cuniculis mirae magnitudinis affluit, eisque portus capacissimus, Spalmatoris dictus, est satis a tempestatibus tutus et a piratis frequentatus. Un tempo era abitata, come testimoniano un tempietto ivi costruito ed altri antichi monumenti, ma ora giace deserta e vi si trova un gran numero di capre, maiali selvatici e conigli di eccezionale dimensione.
Il suo porto, chiamato Spalmatore, assai capace e ben protetto dalle tempeste, è però frequentato dai pirati.
Prope eam, Sardiniam versus, sunt duae parvae insulae, scopuli potius nominandi. Vicino a quest’ isola, in direzione della Sardegna, si trovano due isolette che sarebbe più appropriato definire scogli.

 

Il primo fondatore della colonia di Carloforte, Agostino Tagliafico, durante il suo viaggio nell’Isola, nell’inverno del 1736/1737, ci ha rilasciato una Istruzione per procedere alla carta dell’Isola di San Pietro:

“Havendo S. M. determinato di popolare quest’Isola restano neccessarie per Le opportune provvidenze tutte le notizie più distinte di quanto puol riguardare il beneficio della populazione sij per la qualità, che quantità del terreno, et ciò specificamente di modo che seben per ora non si pretenda una Carta omninamente in assicurata misura, si vuole per il meno, che il litorale sij di tutta esatezza con la spiegazione di tutti li Luoghi più, e men facili al disbarco di tutte le Calanche ove sogliono nascondersi li Turchi, et rispetto al Corpo di dett’Isola la dimostrazione del Piano, Monte et Cale, il tutto sotto il suo vero orizonte, dellineando et disegnando tutti li Capi, promontorij, seni, Cale, Scoglij: et con distinguere il Coltivabile dall’infrutifero, il Prato, il Bosco, et tutto ciò, che si potrà ridure in Campo annotando principalmente le Fontane con la distinzione se sijno perenni o mancanti, se abbondanti à segno di produrre irrigazione, et la qualità di Esse sia dolci, salse, legiere, pesanti, ferree, sulfuree.

Per devenire alla Formazione di questa Carta, si dovrà nell’operazione formar due linee magistrali dà mezzo giorno, a tramontana, ò vice versa, et praticando come sarà possibile le perpendicolari sopra esse, et transversali ne’ luoghi più facili alla continuazione de’ ponti di vista annotare ogni qualunque qualità di terreno, che verrà intersecato da esse linee con distinguere tutte le Ruppi, scoscesi, o alpestri, et massime li Monti, che puossono predominare, descrivendo à parte tutto ciò, che vi sarà di più notabile, ò per meraviglia di Natura ò per proprietà della Terra.

In quest’Isola non si hanno altre cognizioni che le seguenti:

Tre sono gli Spalmatori, cioè: Spalmatore di terra, Spalmatore di fuori, et Spalmatore di mezzo giorno.

In a distanza di questo primo vi è una campagna in pianura per la larghezza di un terzo di miglio et di longhezza circa tre.

Nel mezzo di detta Campagna si trova una strada assai larga che vi puotrebbe passar un carro et quella conduce diritamente al piede d’una picola montagna sassosa quale abonda di molte piante d’olive selvatiche et al piede d’essa vi è un condotto fabricato con arte, di pietra viva dal qual scaturisce una sorgente d’aqua perfetissima, puotendosi quella per via d’un aquedotto facilmente condurre per fino al mare.

Quattro sono le principali Cale, cioè Cala di fico, Cala vinagra, Cala Longa, et Cala di freto.

Un sol stagno grande et due picoli uno de’ quali è d’aqua dolce, et diverse Fontane delle quali la principale è detta della Tacca Rossa.

Lo stagno è due miglia di longhezza et mezzo circa di larghezza, si osserverà che dalla parte di levante ha comunicazione col mare per via d’ una piccol bocca et dalla parte di tramontana resta lontano dalle spiaggie maritime non più di trenta passi di sorta che con facilità si puol rendere detto stagno ò lago che comunichi col mare per due parti et con tal mezzo formare facilmente una Salina stante che attesa la sua situazione venendo il levante dalla parte di fuori vi getta l’aqua dentro il che anche ne fà la tramontana dal canto suo.

Un osservazione che deve farsi con diligenza si è di vedere se puossa netesarsi esso lago dalle lesche et alga marina che si dice lo infetano poichè ciò nascendo egli è da sperare si puossa togliere ogni dubio rispetto all’intemperia che sol si teme in questa parte dell’ isola per questa causa.

Una montagna del tutto non comandata, quale anzi predomina tutte le circonvicine montuosità per ciò chiamata Guardia de’ Mori, et quale si sà essere circa cinque miglia lontana dal Mare dalla parte dell’Isola piana.

Si vedono le vestiggia d’un antica Habitazione, et questa fra il Stagno et la Chiesa, qual Chiesa è di palmi dieci nove, in venti Longha, et quatordici in quindici Largha, et quale si sà, che anni trenta circa fa era ancora in piedi, et di Struttura non del tutto Moderna se ben secondo il stile antico habbi la Porta ad Occidente.

In questa chiesa vi sono alcune pietre nelle quali si leggono inscrizioni in lettera gottica et queste si dovranno copiare fedelmente.

Intorno alla medesima vi sono quantità di piante d’olive selvatiche ed al piede si vede esservi stato un giardino nel piano cinto di muraglia essendo per longhezza di 40 passi.

Tra la Chiesa, et il Stagno vi è un piccolo Monticello coltivabile alla corona del quale si vede un recinto quadrilongo di circa Centoquaranta palmi, per Settanta, et questo con Muraglia di quattro palmi di grosezza qual recinto per altro è Commandato dalle Montagne in non maggior distanza del tiro del Fucile.

Al piede d’esso Monticello vi è un Pozzo d’aqua dolce di diametro palmi undeci, et da trenta in trenta cinque di profondità.

Esso pozzo si ritrova dalla metà in giù incavato nella pietra viva, e dalla metà in sù fabricato di muraglia di pietre grosissime.

Vicino alla sudetta fontana detta della Tacca Rossa principiando dal mare si ritrova altra strada di longhezza di due miglia Capace di passarvi il Carro, quale conduce al piede et indi sopra la più alta Montagna di detta Isola per tal ragione chiamata come si è detto Guardia de’ Mori.

Si scuopre in diverse Valli et gran parte dell’Isola: che valli sono tutte ripiene di piante di Pini Elci et altri boschi quali si dovrà riconoscere se sijno di alto fusto et capaci al lavoro tanto di fabriche che d’artiglieria.

Da detta Tacca Rossa andando verso l’isola piana si ritrova altro luogo denominato le Fontanelle dove alla riva del mare si vede altra grosissima fontana con un Circuito d’un miglio circa d’ottimo terreno.

Con queste Notizie verificandole prima, resta più facile il devenire all’operazione; pendente la quale sarà neccessario informarsi se è vero che il terreno tra il Stagno et la Chiesa sij intemperioso, et che tutto il restante dell’Isola goda un aria salubre, et perfetta, osservando anche cosa potesse essere nei tempi andati una specie di Comunicazione o condotto che si vede tra la Chiesa et vestiggie d’habitazioni sudette con forma di fossa interotto, et descrivendo tutti li Luoghi inaccessibili del Littorale, con spiegare la misura delle Balze più erte et anche mediocri che piombano sul Lido.

Suposto che sij fatta la Carta nel miglior modo e forma che si potrà per ora, si prenderà voce dagli Habitanti di Porto Scus, et Isola piana de’luoghi ove più frequentemente sogliono aprodare li Turchi, et per meglio riconoscere dove si tratengono nascosti; dovrà informarsi di tutte le Balme et Caverne con annotare quelle che saranno più affumicate, o nelle quali si ritroveranno le Ceneri, o altri indicij de’Fuochi che necessariamente sono in obligo ad accendere per trattenersi ivi delle Settimane, e Mesi come fanno.

Come che per ricoverarsi dalle Borasche prodotte dalle Tramontane, Maestrali, Ponenti, Lebecci, et quelli di terra sogliono le Navi et Bastimenti ancorare sopra la Costa di Sciroco verso terra, ove non hanno altra traversia che quella di mezzo giorno si dovrà avere per massima essere da questa parte il Luogo più proprio alla Popolazione, come considerato e riconosciuto per buon Porto, e per ciò vedere se resta praticabile di ridurlo in qualche parte à coperto dalla detta traversia, et massime verso la Fontana qual si sà essere abbondante d’aqua dolce, ò pure anche vicino al Stagno, sito in cui si sà, che scavando al quanto nell’arena si rittrova aqua dolce e bona di miglior qualità della Fontana sudetta qual si dice tener del ferreo.

S’aggisce ivi di collocar non solo una Villa quale col tempo puossa esser Capace d’un numeroso Popolo, ma anche un Forte per diffenderla dalli insulti, et invasioni de’ Turchi, et però sarà neccessario descrivere, anzi designare le situazioni più avvantagiose per puoter collocare detta Villa sotto la diffesa, et comando d’esso Forte, et come che non solo si deve pensare alla Popolazione maggiore d’essa Villa, ma alle diramazioni, che puotrebbero farsi all’avvenire, perciò si dovranno disegnare distintamente quei Luoghi più facili ad esser Habitati, e per il comodo delle aque, esser Là natura del terreno atto a Campo, Vigna, ò Prato.

Se ben per ora non sij omninamente neccessario, sarebbe bene di Scandagliare tutto il Contorno dell’Isola per riconoscere con questo mezzo il fondo d’ogni Luogo, et massime gli Scoglij, Seche, Banchi, et tutto ciò, che puol essere utile à chi vi gionge di nuovo.

Si farà una relazione à parte de’ Luoghi ove si potrà prender la pietra di Calcina, la distanza che vi è da quelli, che si pensa puossino venir abitati il simile dovendo praticarsi riguardo à boscami uttili per il Lavoro delle Fabriche.

Quantunque l’oculare inspezione sij l’unica base di tutto questo Lavoro, tuttavia per maggiormente facilitare si rimette ivi inserta una Carta dimostrativa dell’Isola sudetta di San Pietro col indice delle cognizioni, che si tengono à finchè possa più prontamente riconoscersi le Cale, Fonti, Stagni, Spalmatori, et quanto già di sopra si è detto".

 

In un documento senza firma e senza data, che si trova nell’Archivio di Stato di Cagliari, nel Volume 1287, fogli 415 e 416, ed intitolato: “Relazione della grandezza qualità del terreno, il loro produto, dell’Isola di San Pietro, Isola Piana, e territorj d’Iglesias”.

(N.d.S. - Tale documento è stato presumibilmente compilato tra il 1698 ed il 1710 poiché, tra queste date, la Tonnara dell'Isola Piana era in concessione al sig. Giuseppe Cavassa - cagliaritano - con l’obbligo di versare il 5% dei profitti alla giunta patrimoniale. La Tonnara fu venduta nel 1711 al Marchese Don Francesco Pes di Villamarina).

Isola di S.t Pietro di S. M.

Quest'Isola vien ad essere 28: miglia di circuito in forma di parallelo grammo con due capi d'erte balse che piombano sul lido nominati li Sparmatori sotano di Lebeccio e mezzogiorno, et cintano di greco Tramontana, come vien ad esser la sua situazione presentando le due faccie alli maestri, ponenti, e sirochi Levanti; Si ritrova 6: miglia distante da quella di S.Antiogo.

Essa è assai montuosa di bellissimo aspetto con spatiose valli, e pianure verdeggianti di scarsissimi pascoli, ricca d'alberi d' ogni genere però selvatici, e molti buoni per il servizio dell'Artiglieria, non vien habitata da alcuna Persona, ma bensì da un infinnità d' animali selvatici come Cervi, Caprioli, Daini, Moffoloni, Caproni, Cavalli, Lassini, e Lepri abbondantissimamente, e caccia d'ogni genere, si vede sopra la Costa di Ponente vestiggie d' una Cappella dedicata al medesimo Santo alquanto ellevata sopra un monticello, sogliono le Navi e bastimenti ancorare à dett'Isola sopra la costa di siroco verso terra per ricoverarsi dalle borasche prodotte dalle Tramontane, maestrali ponenti Lebecci e quelli di terra alla riserva dei mezzi giorni che vengono traversati, e quivi si provedono d' acqua da una fonte abbondantissima ed eccellente per la quale espressamente vengono à provvedersene, se ci può liberamente velleggiare all' intorno osservando varie rupi scoscesi et alpestri che formano diverse ponte guarnite di roche e scogli, con spiaggie arenose, e sassose interpolate da diverse Calanche senz' alcuna denominazione, quali servono d'albergo à Turchi.

 

Il tedesco Joseph Fuos con la sua opera del 1780, tradotta in italiano da Pasquale Gastaldi Millelire con il titolo "La Sardegna nel 1773 – 1776" descritta da un contemporaneo, ediz. 1899, alle pagine 58 e 59, nella lettera seconda del 6 agosto 1773, a rivelare l’esistenza di tombe a camera:

“Essendo andato alcune settimane or sono nell’ Isola di San Pietro, ed avendo parlato a tavola col suo comandante in Carloforte di simili cose, egli dopo pranzo mi condusse nella collina, al cui piede è situato il luogo, dove si vede una gran quantità delle medesime tombe. (1)

Una di esse è più grande delle rimanenti, e costrutta come una camera sotterranea, in cui si hanno da scendere alcuni scalini, e la quale ha la forma di una croce.

  1. è l’ entrata e a mano sinistra di chi entra è un ripostiglio (nicchia),
  2. sul quale è delineata una testa, la quale ha sopra di sé un quarto di luna.
 
Disegno della tomba descritta dal Fuos

Questa tomba si trovò piena di tombe d’argilla, le quali hanno circa quattro piedi in lunghezza, in media generale circa un piede, nella parte inferiore terminano un poco a punta, al di sopra sono fornite da due manici, e sono generalmente rotonde, anche al di sopra hanno una piccola apertura rotonda. Ne furono estratte intere soltanto tre, di cui una io vidi in casa del comandante, e le altre due restanti sono state mandate a Cagliari.”

(1) Per quante ricerche abbia fatto non si trova vestigio alcuno di tale tomba, né i più vecchi degli odierni abitanti di Carloforte hanno saputo dare alcuna informazione al riguardo (N.d.T.).

(N.d.S. - Molto probabilmente si tratta della ormai ex tomba “du Mucciu” situata in località “Rombo”, all’angolo delle strade Rombi e Golfa).

 

Nel 1828, il Capitano della Royal Navy William Henry Smyth nell’opera “The Schetch of the present state of the Island of Sardinia”, documentò il rinvenimento di un ripostiglio monetale punico presso le saline di Carloforte:

“...Alle spalle delle saline vi è una collina isolata che dà l’impressione di essere artificiale.

E negli stessi dintorni, mentre eravamo ancorati lì vicino, un agricoltore incocciò col vomero in un’anfora piena di monete cartaginesi di bronzo, di cui ne comperai circa 250: erano del tipo comune - sul diritto la testa di Cerere e sul rovescio un cavallo o una palma o entrambi - con solo due eccezioni: una aveva la testa di un guerriero con un insolito elmo (a quanto pare di pelle) e l’altra delle pannocchie di grano.

La principale particolarità di questa collezione era un carattere dell’alfabeto punico posto fra le zampe del cavallo, che differiva da moneta a moneta”.

 

Del 1833 è il Dizionario Geografico Statistico Storico Commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna di Angius/Casalis che alla voce Carloforte si ricava:

“...Dicevasi quest’ isola da’ greci Hieraconnesos, dai latini insula Accipitorum.
I cartaginesi ed i romani vi ebbero stanza, come pare lecito argomentare dalle tombe, che si scoprirono, dalle monete puniche e romane, che vi si ritrovarono, da altri oggetti di quella antichità, e dalle vestigie di antichi edifizi presso la chiesa di San Pietro.

Nel sito detto Briccu distante circa un quarto d’ ora, dicesi siano visibili le rovine d’un castello, presso al quale scoprivasi un pozzo pieno di palle di pietra”.

 

Nel 1862 l’illustre archeologo Giovanni Spano, fu il primo a segnalare un quadro più dettagliato delle testimonianze archeologiche dell’isola:

“Accipitrum Insula o Jeraco, la quale è conosciuta da tutti i geografi che parlarono della Sardegna. Oggi si appella l’isola di San Pietro da una chiesa antica dedicata al Principe degli Apostoli, abitata da una colonia di Tabarchini.

Anticamente appellavasi l’Isola degli Sparvieri – Accipitrum Insula – per l’abbondanza di questi volatili che attegiavansi alla caccia.

Non è però dire che l’Isola di San Pietro non sia stata pure abitata anticamente nel tempo dei Cartaginesi e dei Romani, imperocchè nel sito appellato Briccu, vicino l’attual popolazione di Carlo Forte non solamente si vedono rovine di antichi edifizii, ma vi si trovano, anche nei dintorni, monete puniche e romane con frequenza, come pure corniole incise ed altro”.

 

Sempre nel giugno 1862, nel Bullettino Archeologico Sardo, a. VIII, n.6, segnalò la scoperta di:

“...un deposito di monete romane, tutte di bronzo, dell’alto impero.

Il deposito conta circa 600 monete scoperte da un contadino svellendo una ceppaja nel sito detto Is Nurachis, dirimpetto a Calasetta.

Il sito è così appellato, perché vi compariscono alcuni nuraghi distrutti.

Si vede chiaro che quest’isola – Accipitrum Insula – fu abitata da tempo antichissimo, al pari della vicina penisola di Sant’Antioco.

In mezzo a rottami antichi levò un embrice, e sotto questo stavano tutte le monete ammonticchiate.

La maggior parte di queste monete furono acquistate dal Cav. Don Antonio Roych, e da varij altri, e perché le abbiamo avute sott’occhio, qui non facciamo altro che accennare gli Imperatori cui appartenevano, che sono Trajano, Adriano, Antonino, Faustina seniore, Marco Aurelio, Faustina giuniore, Caracalla, Geta, Giulia Mammea, Alessandro Severo, Gordiano III, due Filippi, Traiano Decio, Treboniano, Volusiano. Tutte queste monete sono di seconda grandezza, ben conservate e di diversi rovescij, tra le quali la più rara è una Cornelia Supera, creduta moglie di Emiliano – CORNELIA SUPERA AVG. Busto a destra – R. IVNO REGINA, Giunone stante a sinistra con patera nella destra, e scettro nella sinistra nel campo S.C.

Si può quindi conghietturare che il deposito sia stato riposto dopo la metà del sec. III, perché una moneta di Volusiano ha nel rovescio VOTIS DECENNALIBVS che corrisponde all’anno 251”.

 

Il 15 Aprile 1878 il giornale locale “L’Eco del mare”, anno I, N°.1, riportava il seguente articolo di cronaca locale:

“Scoperte archeologiche” – In una regione di quest’isola denominata “La Caletta” esposta a Ovest-Sud-Ovest; quando l’uragano imperversa, il mare accumula sulla spiaggia di questo seno un’immensa quantità di sabbia che, prosciugata in seguito dagli ardori estivi, il vento spinge ed inoltra dentro terra verso la regione delle “Colonne” dove essendovi altra spiaggia, le dette arene finiscono cogli anni per ritornare al mare da cui erano uscite.

Di queste sabbie una grande quantità veniva trattenuta da forti boscaglie, e da tempo immemorabile esistevano molti cumuli, aventi l’aspetto dell’oceano in tempesta.

Codeste dune danno un aspetto originale e pittoresco a quella località e forniscono in piccolo l’idea del deserto, in quanto che noi conoscemmo molti vigneti rigogliosi che furono perfettamente sepolti da quelle sabbie e ne vedemmo risorgere degli altri di cui ignoravamo l’esistenza.

In uno di tali vigneti di proprietà del Signor Gregorio Plaisant, capitano marittimo, esistevano due di tali cumuli di proporzione enormi.

Per ispirito di coltivazione, essendo stata distrutta la vegetazione che tratteneva tali dune, i venti impetuosi dello scorso inverno trasportarono altrove porzioni di quelle arene, lasciando scoperto il suolo costituito da tufo.

Di questi giorni scorsi il sullodato proprietario del fondo, avendo rimarcato un certo numero di pietre che avevano una disposizione tutt’affatto particolare, fece smuovere in sua presenza e con sua meraviglia s’accorse d’avere scoperto una tomba.

Difatti si rinvenne, oltre al cranio, ai femori ed alle tibie, vari oggetti d’antichità come piatti, vasi lacrimatorj, lumi, utensili di vetro e la solita moneta erosa.

Prevedendo egli che non poteva essere una tomba isolata, ordinò successive esplorazioni e l’esito coronò le previsioni, avendo scoperto una dozzina circa di tombe tutte intatte e contenenti presso a poco gli stessi oggetti.

Noi fummo gentilmente invitati a presenziare l’apertura di una di tali tombe, ed essendoci con vero piacere recati sopraluogo, vedemmo difatti il coperchio d’una tomba, tutt’ora inviolata, e dopo averla scoperta ed avendovi trovato un trenta centimetri circa di terra sabbiosa, ci apparve un cranio adagiato sopra un piatto di delicatissima terra rossa, avente a sinistra una scodellina di terra, ed alla destra metà di un vasetto di creta contenente 6 medaglie d’oro, vari globetti di varie sostanze e due fermagli metallici; dal tutto arguimmo che fosse un bracialetto e che il cadavere ivi racchiuso fosse quello di una donna, giudizio corroborato anche dalla delicatezza delle altre ossa ivi racchiuse.

E’ qui comune opinione che in detta località esistano molte altre consimili tombe; ma per ora ci limitiamo a questo semplice cenno, colla promessa di ritornarvi, se vi saranno scoperte successive.

Tale ipotesi fu confermata da ulteriori scoperte, sempre nello stesso fondo, in una delle quali si rinvennero – cogli avanzi di ossa umane – ben sei monete romane d’oro”.

Continua...

Fine prima parte

 

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