|
|
|
|
Monumenti antichi dell’Isola di San Pietro |
Prima parte |
L’Isola di San Pietro
|
L’isola di San Pietro
è:
L’ Inosim dei fenici.
L’ Insula Accipitrum dei Romani
L’Ieracon nesos dei Greci
La
prima traccia di un monumento antico rilevabile in un documento,
prima della colonizzazione del 1738, riguarda l’antica chiesetta dei
Nuovi Innocenti, sita in località Fontane.
Chiesetta dei |
|
Novelli
Innocenti |
Si rileva da un
documento scritto in latino da Alberico, monaco trinitario
dell’abbazia cistercense delle Tre Fontane, nei pressi di
Chalons-sur-Marne, non molto distante da Cervofreddo, che tra il
1230 ed il 1240
scrisse il Chronicon.
L’opera è stata
pubblicata in Monumenta Germaniae Historia vol. XXIII e in Rerum
Gallicarum Et Francorum Scriptores Tom. XVIII, n.744 (1698).
La traduzione di ciò
che ha scritto è la seguente:
Nell’anno 1212 venne
fatta una spedizione di bambini i quali convergendo quasi
miracolosamente da ogni parte ed essendosi riuniti a Vendome, presso
Parigi, vennero a Marsiglia essendo circa trecentomila, come se
volessero attraversare il mare contro i Saraceni.
Alcuni ribaldi e
uomini malvagi che si erano uniti agli stessi corruppero tutto
l’esercito, poiché alcuni bambini morirono in mare, altri furono
venduti e pochi rispetto a tanta moltitudine ritornarono a casa.
Tuttavia a riguardo di
quelli che si salvarono il Papa emanò un precetto, affinché quando
fosse giunto il momento, attraversassero il mare con una croce
impressa.
E così i traditori dei
bambini si dice fossero Hugo Ferreus e Guillelmus Porcus, mercanti
di Marsiglia, i quali , essendo armatori delle navi, dovevano così
come avevano loro promesso per la causa di Dio, senza ricompensa,
condurli oltre mare.
Riempirono con essi
sette grandi navi, e quando giunsero dopo due giorni di navigazione
verso l’isola di San Pietro, alla rupe che viene chiamata del
Recluso, scoppiata una tempesta, due delle navi colarono a picco, e
tutti i bambini su quelle navi annegarono.
E, come si dice, dopo
alcuni anni Papa Gregorio IX fece erigere in quell’isola la chiesa
dei Nuovi Innocenti, e introdusse dodici prebendari.
In quella chiesa ci
sono i corpi dei bambini gettati a riva dal mare, ed inoltre si
mostrano integri ai pellegrini.
I traditori, d’altra
parte, condussero le cinque navi restanti fino a Bugia e ad
Alessandria, dove una volta giunti tutti quei bambini vennero
venduti ai Principi Saraceni e ai Mercanti.
Il Califfo comprò
quattrocento di loro, tutti chierici, che volle così separare dagli
altri ottocento che erano presbiteri, e che, come era sua abitudine,
trattò tutti onestamente e con onorevoli gesti.
Nello stesso anno in
cui i bambini furono venduti, i Principi Saraceni che erano riuniti
a Bagdad, uccisero con ogni sorta di tortura diciotto bambini che
avevano rifiutato di abiurare la fede Cristiana, mentre tutto il
resto visse diligentemente in cattività.
Tra i chierici
nominati sopra e che erano stati comprati dal Califfo, ve ne fu uno
che vide e riferì fedelmente di non avere mai sentito che alcuno di
detti bambini aveva abiurato la fede cristiana.
I due traditori
sopraccitati Hugo Ferreus e Guillelmus Porcus, andarono dal Principe
dei Saraceni in Sicilia Mirabello, e con lui vollero cospirare per
tradire l’Imperatore Federico.
Ma l’Imperatore,
offerente a Dio, trionfò su di loro e impiccò sullo stesso patibolo
sia Mirabello coi suoi due figli e quei traditori.
Dopo diciotto anni la
persona che riferì tutto ciò aggiunse che Maschemach di Alessandria
teneva in buone condizioni settecento di essi che non erano più
bambini ma uomini forti.
|
|
Nel “Lo compasso de
Navegare”, scritto intorno al
1250 ca., e
pubblicato da Bachisio Raimondo Motzo negli Annali della facoltà di
lettere e filosofia di Cagliari; Vol.VIII; 1947; si estrae quanto
segue:
"...la dicta isola
de sancto Piero è bono porto denanti la chiegia, che è en na dicta
isola da parte de Sardegna. En la bocca de la dicta isola, da ver
Tramontana è una isola peticta.
Enter quella
isolecta e Sardegna è una altra L’isola de Sam Piero vederete plana
e socctile da levante, e da ponente grossa, e de fora è rossa, et à
faillione rosso e retondo..."
Successivamente
Ioannis Francisci Farae nel Liber I del: In Sardiniae Chorographiam
– De Insulis Sardiniae adiacentibus – scritto fra il
1580 e il 1590 e a
proposito scrive:
Hieracum, hoc
est Accipitrum, insula a Ptolemaeo, nunc S.ti Petri ab
eius templo in ea constructo appellata, est ambitus 25 m.
pass. et cum propincua insula S.ti Antiochi portum cuiusvis
classis capacissimun efficit. |
Hieracum, o Isola
degli Avvoltoi, così Tolomeo, oggi San Pietro dal nome della
chiesa ivi eretta, ha una linea di costa di 25 miglia e con la
vicina isola di Sant’Antioco forma un porto in grado di dar
riparo a qualsiasi flotta. |
Solum habet montuosum
et asperum, pinetis sylvestribus abundantem, mare pisculentum
in quo etiam thynnorum piscatio est optima; |
Il suo
territorio è montuoso e scosceso, fitto di pini silvestri, il
mare circostante è pescoso ed anche qui è possibile un
abbondante mattanza di tonni. |
fuitque olim habitata,
ut sacellum in ea conditum et alia antiqua docent monumenta,
sed nunc deserta capris et porcis sylvestribus atque cuniculis
mirae magnitudinis affluit, eisque portus capacissimus,
Spalmatoris dictus, est satis a tempestatibus tutus et a
piratis frequentatus. |
Un tempo era
abitata, come testimoniano un tempietto ivi costruito ed altri
antichi monumenti, ma ora giace deserta e vi si trova un gran
numero di capre, maiali selvatici e conigli di eccezionale
dimensione.
Il suo porto, chiamato Spalmatore, assai capace e ben protetto
dalle tempeste, è però frequentato dai pirati. |
Prope eam, Sardiniam
versus, sunt duae parvae insulae, scopuli potius nominandi. |
Vicino a quest’
isola, in direzione della Sardegna, si trovano due isolette
che sarebbe più appropriato definire scogli. |
|
|
Il primo fondatore
della colonia di Carloforte, Agostino Tagliafico, durante il suo
viaggio nell’Isola, nell’inverno del
1736/1737, ci ha
rilasciato una Istruzione per procedere alla carta dell’Isola di San
Pietro:
“Havendo S. M.
determinato di popolare quest’Isola restano neccessarie per Le
opportune provvidenze tutte le notizie più distinte di quanto puol
riguardare il beneficio della populazione sij per la qualità, che
quantità del terreno, et ciò specificamente di modo che seben per
ora non si pretenda una Carta omninamente in assicurata misura, si
vuole per il meno, che il litorale sij di tutta esatezza con la
spiegazione di tutti li Luoghi più, e men facili al disbarco di
tutte le Calanche ove sogliono nascondersi li Turchi, et rispetto al
Corpo di dett’Isola la dimostrazione del Piano, Monte et Cale, il
tutto sotto il suo vero orizonte, dellineando et disegnando tutti li
Capi, promontorij, seni, Cale, Scoglij: et con distinguere il
Coltivabile dall’infrutifero, il Prato, il Bosco, et tutto ciò, che
si potrà ridure in Campo annotando principalmente le Fontane con la
distinzione se sijno perenni o mancanti, se abbondanti à segno di
produrre irrigazione, et la qualità di Esse sia dolci, salse,
legiere, pesanti, ferree, sulfuree.
Per devenire alla
Formazione di questa Carta, si dovrà nell’operazione formar due
linee magistrali dà mezzo giorno, a tramontana, ò vice versa, et
praticando come sarà possibile le perpendicolari sopra esse, et
transversali ne’ luoghi più facili alla continuazione de’ ponti di
vista annotare ogni qualunque qualità di terreno, che verrà
intersecato da esse linee con distinguere tutte le Ruppi, scoscesi,
o alpestri, et massime li Monti, che puossono predominare,
descrivendo à parte tutto ciò, che vi sarà di più notabile, ò per
meraviglia di Natura ò per proprietà della Terra.
In quest’Isola non
si hanno altre cognizioni che le seguenti:
Tre sono gli
Spalmatori, cioè: Spalmatore di terra, Spalmatore di fuori, et
Spalmatore di mezzo giorno.
In a distanza di
questo primo vi è una campagna in pianura per la larghezza di un
terzo di miglio et di longhezza circa tre.
Nel mezzo di detta
Campagna si trova una strada assai larga che vi puotrebbe passar un
carro et quella conduce diritamente al piede d’una picola montagna
sassosa quale abonda di molte piante d’olive selvatiche et al piede
d’essa vi è un condotto fabricato con arte, di pietra viva dal qual
scaturisce una sorgente d’aqua perfetissima, puotendosi quella per
via d’un aquedotto facilmente condurre per fino al mare.
Quattro sono le
principali Cale, cioè Cala di fico, Cala vinagra, Cala Longa, et
Cala di freto.
Un sol stagno
grande et due picoli uno de’ quali è d’aqua dolce, et diverse
Fontane delle quali la principale è detta della Tacca Rossa.
Lo stagno è due
miglia di longhezza et mezzo circa di larghezza, si osserverà che
dalla parte di levante ha comunicazione col mare per via d’ una
piccol bocca et dalla parte di tramontana resta lontano dalle
spiaggie maritime non più di trenta passi di sorta che con facilità
si puol rendere detto stagno ò lago che comunichi col mare per due
parti et con tal mezzo formare facilmente una Salina stante che
attesa la sua situazione venendo il levante dalla parte di fuori vi
getta l’aqua dentro il che anche ne fà la tramontana dal canto suo.
Un osservazione che
deve farsi con diligenza si è di vedere se puossa netesarsi esso
lago dalle lesche et alga marina che si dice lo infetano poichè ciò
nascendo egli è da sperare si puossa togliere ogni dubio rispetto
all’intemperia che sol si teme in questa parte dell’ isola per
questa causa.
Una montagna del
tutto non comandata, quale anzi predomina tutte le circonvicine
montuosità per ciò chiamata Guardia de’ Mori, et quale si sà essere
circa cinque miglia lontana dal Mare dalla parte dell’Isola piana.
Si vedono le
vestiggia d’un antica Habitazione, et questa fra il Stagno et la
Chiesa, qual Chiesa è di palmi dieci nove, in venti Longha, et
quatordici in quindici Largha, et quale si sà, che anni trenta circa
fa era ancora in piedi, et di Struttura non del tutto Moderna se ben
secondo il stile antico habbi la Porta ad Occidente.
In questa chiesa vi
sono alcune pietre nelle quali si leggono inscrizioni in lettera
gottica et queste si dovranno copiare fedelmente.
Intorno alla
medesima vi sono quantità di piante d’olive selvatiche ed al piede
si vede esservi stato un giardino nel piano cinto di muraglia
essendo per longhezza di 40 passi.
Tra la Chiesa, et
il Stagno vi è un piccolo Monticello coltivabile alla corona del
quale si vede un recinto quadrilongo di circa Centoquaranta palmi,
per Settanta, et questo con Muraglia di quattro palmi di grosezza
qual recinto per altro è Commandato dalle Montagne in non maggior
distanza del tiro del Fucile.
Al piede d’esso
Monticello vi è un Pozzo d’aqua dolce di diametro palmi undeci, et
da trenta in trenta cinque di profondità.
Esso pozzo si
ritrova dalla metà in giù incavato nella pietra viva, e dalla metà
in sù fabricato di muraglia di pietre grosissime.
Vicino alla sudetta
fontana detta della Tacca Rossa principiando dal mare si ritrova
altra strada di longhezza di due miglia Capace di passarvi il Carro,
quale conduce al piede et indi sopra la più alta Montagna di detta
Isola per tal ragione chiamata come si è detto Guardia de’ Mori.
Si scuopre in
diverse Valli et gran parte dell’Isola: che valli sono tutte ripiene
di piante di Pini Elci et altri boschi quali si dovrà riconoscere se
sijno di alto fusto et capaci al lavoro tanto di fabriche che
d’artiglieria.
Da detta Tacca
Rossa andando verso l’isola piana si ritrova altro luogo denominato
le Fontanelle dove alla riva del mare si vede altra grosissima
fontana con un Circuito d’un miglio circa d’ottimo terreno.
Con queste Notizie
verificandole prima, resta più facile il devenire all’operazione;
pendente la quale sarà neccessario informarsi se è vero che il
terreno tra il Stagno et la Chiesa sij intemperioso, et che tutto il
restante dell’Isola goda un aria salubre, et perfetta, osservando
anche cosa potesse essere nei tempi andati una specie di
Comunicazione o condotto che si vede tra la Chiesa et vestiggie d’habitazioni
sudette con forma di fossa interotto, et descrivendo tutti li Luoghi
inaccessibili del Littorale, con spiegare la misura delle Balze più
erte et anche mediocri che piombano sul Lido.
Suposto che sij
fatta la Carta nel miglior modo e forma che si potrà per ora, si
prenderà voce dagli Habitanti di Porto Scus, et Isola piana de’luoghi
ove più frequentemente sogliono aprodare li Turchi, et per meglio
riconoscere dove si tratengono nascosti; dovrà informarsi di tutte
le Balme et Caverne con annotare quelle che saranno più affumicate,
o nelle quali si ritroveranno le Ceneri, o altri indicij de’Fuochi
che necessariamente sono in obligo ad accendere per trattenersi ivi
delle Settimane, e Mesi come fanno.
Come che per
ricoverarsi dalle Borasche prodotte dalle Tramontane, Maestrali,
Ponenti, Lebecci, et quelli di terra sogliono le Navi et Bastimenti
ancorare sopra la Costa di Sciroco verso terra, ove non hanno altra
traversia che quella di mezzo giorno si dovrà avere per massima
essere da questa parte il Luogo più proprio alla Popolazione, come
considerato e riconosciuto per buon Porto, e per ciò vedere se resta
praticabile di ridurlo in qualche parte à coperto dalla detta
traversia, et massime verso la Fontana qual si sà essere abbondante
d’aqua dolce, ò pure anche vicino al Stagno, sito in cui si sà, che
scavando al quanto nell’arena si rittrova aqua dolce e bona di
miglior qualità della Fontana sudetta qual si dice tener del ferreo.
S’aggisce ivi di
collocar non solo una Villa quale col tempo puossa esser Capace d’un
numeroso Popolo, ma anche un Forte per diffenderla dalli insulti, et
invasioni de’ Turchi, et però sarà neccessario descrivere, anzi
designare le situazioni più avvantagiose per puoter collocare detta
Villa sotto la diffesa, et comando d’esso Forte, et come che non
solo si deve pensare alla Popolazione maggiore d’essa Villa, ma alle
diramazioni, che puotrebbero farsi all’avvenire, perciò si dovranno
disegnare distintamente quei Luoghi più facili ad esser Habitati, e
per il comodo delle aque, esser Là natura del terreno atto a Campo,
Vigna, ò Prato.
Se ben per ora non
sij omninamente neccessario, sarebbe bene di Scandagliare tutto il
Contorno dell’Isola per riconoscere con questo mezzo il fondo d’ogni
Luogo, et massime gli Scoglij, Seche, Banchi, et tutto ciò, che puol
essere utile à chi vi gionge di nuovo.
Si farà una
relazione à parte de’ Luoghi ove si potrà prender la pietra di
Calcina, la distanza che vi è da quelli, che si pensa puossino venir
abitati il simile dovendo praticarsi riguardo à boscami uttili per
il Lavoro delle Fabriche.
Quantunque
l’oculare inspezione sij l’unica base di tutto questo Lavoro,
tuttavia per maggiormente facilitare si rimette ivi inserta una
Carta dimostrativa dell’Isola sudetta di San Pietro col indice delle
cognizioni, che si tengono à finchè possa più prontamente
riconoscersi le Cale, Fonti, Stagni, Spalmatori, et quanto già di
sopra si è detto".
|
|
In un documento senza
firma e senza data, che si trova nell’Archivio di Stato di Cagliari,
nel Volume 1287, fogli 415 e 416, ed intitolato: “Relazione della
grandezza qualità del terreno, il loro produto, dell’Isola di San
Pietro, Isola Piana, e territorj d’Iglesias”.
(N.d.S. - Tale documento
è stato presumibilmente compilato tra il
1698 ed il 1710
poiché, tra queste date, la Tonnara dell'Isola Piana era in
concessione al sig. Giuseppe Cavassa - cagliaritano - con l’obbligo
di versare il 5% dei profitti alla giunta patrimoniale. La Tonnara
fu venduta nel 1711 al Marchese Don Francesco Pes di Villamarina).
Isola di S.t Pietro
di S. M.
Quest'Isola vien ad
essere 28: miglia di circuito in forma di parallelo grammo con due
capi d'erte balse che piombano sul lido nominati li Sparmatori
sotano di Lebeccio e mezzogiorno, et cintano di greco Tramontana,
come vien ad esser la sua situazione presentando le due faccie alli
maestri, ponenti, e sirochi Levanti; Si ritrova 6: miglia distante
da quella di S.Antiogo.
Essa è assai
montuosa di bellissimo aspetto con spatiose valli, e pianure
verdeggianti di scarsissimi pascoli, ricca d'alberi d' ogni genere
però selvatici, e molti buoni per il servizio dell'Artiglieria, non
vien habitata da alcuna Persona, ma bensì da un infinnità d' animali
selvatici come Cervi, Caprioli, Daini, Moffoloni, Caproni, Cavalli,
Lassini, e Lepri abbondantissimamente, e caccia d'ogni genere, si
vede sopra la Costa di Ponente vestiggie d' una Cappella dedicata al
medesimo Santo alquanto ellevata sopra un monticello, sogliono le
Navi e bastimenti ancorare à dett'Isola sopra la costa di siroco
verso terra per ricoverarsi dalle borasche prodotte dalle
Tramontane, maestrali ponenti Lebecci e quelli di terra alla riserva
dei mezzi giorni che vengono traversati, e quivi si provedono d'
acqua da una fonte abbondantissima ed eccellente per la quale
espressamente vengono à provvedersene, se ci può liberamente
velleggiare all' intorno osservando varie rupi scoscesi et alpestri
che formano diverse ponte guarnite di roche e scogli, con spiaggie
arenose, e sassose interpolate da diverse Calanche senz' alcuna
denominazione, quali servono d'albergo à Turchi.
|
|
Il tedesco Joseph Fuos
con la sua opera del 1780, tradotta in italiano da Pasquale Gastaldi
Millelire con il titolo "La Sardegna nel 1773 – 1776" descritta da
un contemporaneo, ediz. 1899, alle pagine 58 e 59, nella lettera
seconda del 6 agosto 1773,
a rivelare l’esistenza di tombe a camera:
“Essendo andato alcune
settimane or sono nell’ Isola di San Pietro, ed avendo parlato a
tavola col suo comandante in Carloforte di simili cose, egli dopo
pranzo mi condusse nella collina, al cui piede è situato il luogo,
dove si vede una gran quantità delle medesime tombe. (1)
Una di esse è più
grande delle rimanenti, e costrutta come una camera sotterranea, in
cui si hanno da scendere alcuni scalini, e la quale ha la forma di
una croce.
-
è l’ entrata e a mano
sinistra di chi entra è un ripostiglio (nicchia),
-
sul quale è delineata
una testa, la quale ha sopra di sé un quarto di luna.
|
|
Disegno della tomba descritta dal Fuos |
Questa tomba si trovò
piena di tombe d’argilla, le quali hanno circa quattro piedi in
lunghezza, in media generale circa un piede, nella parte inferiore
terminano un poco a punta, al di sopra sono fornite da due manici, e
sono generalmente rotonde, anche al di sopra hanno una piccola
apertura rotonda. Ne furono estratte intere soltanto tre, di cui una
io vidi in casa del comandante, e le altre due restanti sono state
mandate a Cagliari.”
(1) Per quante
ricerche abbia fatto non si trova vestigio alcuno di tale tomba, né
i più vecchi degli odierni abitanti di Carloforte hanno saputo dare
alcuna informazione al riguardo (N.d.T.).
(N.d.S. - Molto
probabilmente si tratta della ormai ex tomba “du Mucciu” situata in
località “Rombo”, all’angolo delle strade Rombi e Golfa).
|
|
Nel
1828, il Capitano
della Royal Navy William Henry Smyth nell’opera “The Schetch of the
present state of the Island of Sardinia”, documentò il rinvenimento
di un ripostiglio monetale punico presso le saline di Carloforte:
“...Alle spalle delle
saline vi è una collina isolata che dà l’impressione di essere
artificiale.
E negli stessi
dintorni, mentre eravamo ancorati lì vicino, un agricoltore incocciò
col vomero in un’anfora piena di monete cartaginesi di bronzo, di
cui ne comperai circa 250: erano del tipo comune - sul diritto la
testa di Cerere e sul rovescio un cavallo o una palma o entrambi -
con solo due eccezioni: una aveva la testa di un guerriero con un
insolito elmo (a quanto pare di pelle) e l’altra delle pannocchie di
grano.
La principale
particolarità di questa collezione era un carattere dell’alfabeto
punico posto fra le zampe del cavallo, che differiva da moneta a
moneta”.
|
|
Del
1833 è il Dizionario
Geografico Statistico Storico Commerciale degli Stati di S.M. il Re
di Sardegna di Angius/Casalis che alla voce Carloforte si ricava:
“...Dicevasi quest’
isola da’ greci Hieraconnesos, dai latini insula Accipitorum.
I cartaginesi ed i romani vi ebbero stanza, come pare lecito
argomentare dalle tombe, che si scoprirono, dalle monete puniche e
romane, che vi si ritrovarono, da altri oggetti di quella antichità,
e dalle vestigie di antichi edifizi presso la chiesa di San Pietro.
Nel sito detto Briccu
distante circa un quarto d’ ora, dicesi siano visibili le rovine
d’un castello, presso al quale scoprivasi un pozzo pieno di palle di
pietra”.
|
|
Nel
1862 l’illustre
archeologo Giovanni Spano, fu il primo a segnalare un quadro più
dettagliato delle testimonianze archeologiche dell’isola:
“Accipitrum Insula o
Jeraco, la quale è conosciuta da tutti i geografi che parlarono
della Sardegna. Oggi si appella l’isola di San Pietro da una chiesa
antica dedicata al Principe degli Apostoli, abitata da una colonia
di Tabarchini.
Anticamente
appellavasi l’Isola degli Sparvieri – Accipitrum Insula – per
l’abbondanza di questi volatili che attegiavansi alla caccia.
Non è però dire che
l’Isola di San Pietro non sia stata pure abitata anticamente nel
tempo dei Cartaginesi e dei Romani, imperocchè nel sito appellato
Briccu, vicino l’attual popolazione di Carlo Forte non solamente si
vedono rovine di antichi edifizii, ma vi si trovano, anche nei
dintorni, monete puniche e romane con frequenza, come pure corniole
incise ed altro”.
|
|
Sempre nel giugno
1862, nel Bullettino
Archeologico Sardo, a. VIII, n.6, segnalò la scoperta di:
“...un deposito di
monete romane, tutte di bronzo, dell’alto impero.
Il deposito conta
circa 600 monete scoperte da un contadino svellendo una ceppaja nel
sito detto Is Nurachis, dirimpetto a Calasetta.
Il sito è così
appellato, perché vi compariscono alcuni nuraghi distrutti.
Si vede chiaro che
quest’isola – Accipitrum Insula – fu abitata da tempo antichissimo,
al pari della vicina penisola di Sant’Antioco.
In mezzo a rottami
antichi levò un embrice, e sotto questo stavano tutte le monete
ammonticchiate.
La maggior parte di
queste monete furono acquistate dal Cav. Don Antonio Roych, e da
varij altri, e perché le abbiamo avute sott’occhio, qui non facciamo
altro che accennare gli Imperatori cui appartenevano, che sono
Trajano, Adriano, Antonino, Faustina seniore, Marco Aurelio,
Faustina giuniore, Caracalla, Geta, Giulia Mammea, Alessandro
Severo, Gordiano III, due Filippi, Traiano Decio, Treboniano,
Volusiano. Tutte queste monete sono di seconda grandezza, ben
conservate e di diversi rovescij, tra le quali la più rara è una
Cornelia Supera, creduta moglie di Emiliano – CORNELIA SUPERA AVG.
Busto a destra – R. IVNO REGINA, Giunone stante a sinistra con
patera nella destra, e scettro nella sinistra nel campo S.C.
Si può quindi
conghietturare che il deposito sia stato riposto dopo la metà del
sec. III, perché una moneta di Volusiano ha nel rovescio VOTIS
DECENNALIBVS che corrisponde all’anno 251”.
|
|
Il
15 Aprile 1878 il
giornale locale “L’Eco del mare”, anno I, N°.1, riportava il
seguente articolo di cronaca locale:
“Scoperte
archeologiche” – In una regione di quest’isola denominata “La
Caletta” esposta a Ovest-Sud-Ovest; quando l’uragano imperversa, il
mare accumula sulla spiaggia di questo seno un’immensa quantità di
sabbia che, prosciugata in seguito dagli ardori estivi, il vento
spinge ed inoltra dentro terra verso la regione delle “Colonne” dove
essendovi altra spiaggia, le dette arene finiscono cogli anni per
ritornare al mare da cui erano uscite.
Di queste sabbie una
grande quantità veniva trattenuta da forti boscaglie, e da tempo
immemorabile esistevano molti cumuli, aventi l’aspetto dell’oceano
in tempesta.
Codeste dune danno un
aspetto originale e pittoresco a quella località e forniscono in
piccolo l’idea del deserto, in quanto che noi conoscemmo molti
vigneti rigogliosi che furono perfettamente sepolti da quelle sabbie
e ne vedemmo risorgere degli altri di cui ignoravamo l’esistenza.
In uno di tali vigneti
di proprietà del Signor Gregorio Plaisant, capitano marittimo,
esistevano due di tali cumuli di proporzione enormi.
Per ispirito di
coltivazione, essendo stata distrutta la vegetazione che tratteneva
tali dune, i venti impetuosi dello scorso inverno trasportarono
altrove porzioni di quelle arene, lasciando scoperto il suolo
costituito da tufo.
Di questi giorni
scorsi il sullodato proprietario del fondo, avendo rimarcato un
certo numero di pietre che avevano una disposizione tutt’affatto
particolare, fece smuovere in sua presenza e con sua meraviglia
s’accorse d’avere scoperto una tomba.
Difatti si rinvenne,
oltre al cranio, ai femori ed alle tibie, vari oggetti d’antichità
come piatti, vasi lacrimatorj, lumi, utensili di vetro e la solita
moneta erosa.
Prevedendo egli che
non poteva essere una tomba isolata, ordinò successive esplorazioni
e l’esito coronò le previsioni, avendo scoperto una dozzina circa di
tombe tutte intatte e contenenti presso a poco gli stessi oggetti.
Noi fummo gentilmente
invitati a presenziare l’apertura di una di tali tombe, ed essendoci
con vero piacere recati sopraluogo, vedemmo difatti il coperchio
d’una tomba, tutt’ora inviolata, e dopo averla scoperta ed avendovi
trovato un trenta centimetri circa di terra sabbiosa, ci apparve un
cranio adagiato sopra un piatto di delicatissima terra rossa, avente
a sinistra una scodellina di terra, ed alla destra metà di un
vasetto di creta contenente 6 medaglie d’oro, vari globetti di varie
sostanze e due fermagli metallici; dal tutto arguimmo che fosse un
bracialetto e che il cadavere ivi racchiuso fosse quello di una
donna, giudizio corroborato anche dalla delicatezza delle altre ossa
ivi racchiuse.
E’ qui comune opinione
che in detta località esistano molte altre consimili tombe; ma per
ora ci limitiamo a questo semplice cenno, colla promessa di
ritornarvi, se vi saranno scoperte successive.
Tale ipotesi fu
confermata da ulteriori scoperte, sempre nello stesso fondo, in una
delle quali si rinvennero – cogli avanzi di ossa umane – ben sei
monete romane d’oro”. |
Continua... |
Fine prima parte |
|
[Torna
ad inizio pagina] |
Per
inviare una e-mail alla redazione di "Storia" clicca qui sotto
|
|
|