Dal nostro corrispondente
Cagliari, 20 gennaio
Adesso il mare è
tornato liscio come l'olio ed è possibile vedere lontano senza le
suggestioni delle ombre sulle onde.
La gente di
Carloforte, gente di mare, guarda dalla spiaggia e dagli strapiombi
dell'Isola di San Pietro alla ricerca dei corpi dei marinai del
«Fusina» - il mercantile affondato in quel braccio di mare venerdì
scorso - che ancora mancano all'appello.
Ieri ne erano stati
trovati quattro; oggi ne hanno ripescati tre.
Ne mancano undici: le correnti ormai debbono averli portati
certamente giù verso il golfo di Palmas, verso Capo Spartivento.
La conferma che le
salme si muovevano ormai sul filo delle correnti la si è avuta
stamane dall'aereo del centro di Elmas che ha avvistato davanti al
golfo di Palmas (una ampia insenatura sotto le isole di San Pietro e
Sant’Antioco) una scialuppa capovolta, un salvagente e, accanto, un
corpo senza vita.
Il rimorchiatore
«Atleta» ha ricevuto il messaggio del velivolo, si è portato nel
punto indicato e ha recuperato il corpo di un giovane che potrebbe
essere il mozzo Angelo Barbieri (di Sottomarina).
Ha un orologio al
polso, pantaloni scuri, una maglietta bianca.
Più tardi il panfilo «Capitan Lipari» della scuola nautica di
Carloforte, segnalava sotto costa un'altra salma che è stata
recuperata dall'imbarcazione di un albergo.
Ugo Freguja l’ha identificata per quella del radiotelegrafista
Giovanni Nordio.
In serata, a due
miglia e mezza dall’isoletta del Toro, l'equipaggio della nave della
Marina Militare «Altair», ha recuperato la salma di un uomo
dall'apparente età di 55 anni, capelli grigi, alto circa un metro e
65 : con pantaloni scuri, maglia rossa, vera al dito.
Si ritiene sia il comandante del «Fusina», Mario Catena.
A tarda sera è
stato portato a Carloforte un altro cadavere, che non è stato
identificato.
È sempre così, qui
davanti a San Pietro.
Quattro naufragi in un anno, quattro venerdì maledetti.
A Carloforte sono
ormai abituati a vedere la camera mortuaria del cimitero piena di
salme non identificate e le file dei parenti disperati.
Venerdì 17 gennaio
dell'anno scorso: mare forza otto, raffiche di maestrale a 80
chilometri l’ora. La «Rigel» aveva caricato barite a Sant’Antioco;
poi a 40 miglia ovest dal porto, il carico si era spostato e il
mercantile – 2300 tonnellate – era andato a picco con nove dei 21
marinai del suo equipaggio.
Venerdì 17 aprile
dello stesso anno: un panfilo naufraga in una notte tremenda –
maestrale a cento all’ora – davanti al Capo Colonne di Carloforte, a
cento metri dalla riva.
Se ne accorgono il giorno dopo alcuni marinai che da terra scorgono
un albero di nave spuntare dall’acqua.
Era l’«Ambria»: a bordo c’erano il medico veneziano Lorenzo Dolcetti
e altre due persone.
Venerdì 29 agosto
1969: dopo tre notti e due giorni di agonia, al largo di San Pietro,
affonda il panfilo «Shaib» : le due donne e i tre uomini che erano a
bordo vengono salvati in circostanze drammatiche.
E poi, ancora,
pochi giorni fa, una nave, la «Tabarchin» si arena lungo la costa
sulcitana.
Altre - come la «Esso Cardiff» - rientrano in porto sbandate,
semisommerse.
Il punto è maledetto, e in caso di necessità si può essere certi che
le speranze di aiuto sono poche.
Non esistono fari
con sorveglianti che anche la notte debbano osservare il mare: se ci
fossero stati, avrebbero visto i razzi del «Fusina», la fluorescenza
del mare quando il comandante lanciò – come ha raccontato Freguja –
le polveri fosforescenti.
Le stazioni radio
sembra non riescano a coprire quelle località; il suolo è ricco di
minerali tanto che sulle carte nautiche le linee di declinazione
magnetica sono estremamente irregolari, le onde elettromagnetiche
vengono assorbite.
Quando il «Shaib»
chiese soccorso al largo di Carloforte, non poterono rilevarlo
perché mancano lungo la costa radiogoniometri completi con tutte le
bande di sintonia.
E così il panfilo dovette andare alla deriva, con un mare d’inferno
mentre lo si cercava più giù e più su: fu un miracolo se all’ultimo
crepuscolo un aereo lo avvistò.
Ecco perché si può
pensare che i diciotto del «Fusina» forse avrebbero potuto essere
salvati.
«E’ un altro misfatto del maestrale» dicono i marinai di Carloforte.
Non lo si teme abbastanza questo vento.
Nasce dal Golfo del Leone per il risucchio del deserto africano.
Salta d’improvviso e soffia tre giorni, oppure sette, senza placarsi
e nulla lo annuncia. Poi lancia lo scompiglio nelle correnti, perciò
non si sa più dove cercare i relitti e le salme.
Il maestrale non
c’è da oggi sulle coste sarde. Eppure le norme di sicurezza sembra
siano trascurate non solo dalle autorità, ma dagli stessi marinai.
Un carico
incompleto, bagnato, male assicurato, può far capovolgere la nave se
arriva un’onda più forte delle altre.
E’ successo al Rigel, forse è accaduto anche al «Fusina».
Forse diciotto uomini potevano essere salvati, invece adesso li si
cerca sulle onde non si sa dove.
Spetterà alle
commissioni d’inchiesta della Capitaneria e del ministero della
Marina mercantile stabilire ciò che è avvenuto.
Per questo oggi è
giunto in volo da Roma il sottosegretario Mannironi, un sardo di
Nuoro: è stato accolto da due file di studenti della scuola nautica
che recavano cartelli i quali, facendo riferimento agli ultimi
naufragi, chiedevano l’installazione di posti di ascolto radio lungo
la costa e che gli hanno consegnato un promemoria in questo senso.
Il sottosegretario
ha assicurato una sollecita opera di revisione delle installazioni
di soccorso.
Perché è affondato
il «Fusina»?
E’ stato veramente
il carico sbandato improvvisamente, o una brusca accostata coincisa
con un imprevisto colpo di mare?
O la collisione con
uno scoglio, con un relitto?
Perché nessuno ha
visto nulla da terra?
Perché i due «SOS» non sono stati registrati da Malta, Campu Mannu,
Civitavecchia, Palermo, Algeri, Marsiglia, dai mercantili in
navigazione?
E’ stato usato un apparato Rt non più in grado di funzionare?
O si è ricorsi al trasmettitore di soccorso, di cui spesso si
trascura la manutenzione, la carica della batteria?
Oppure l’«Sos» non è stato lanciato per nulla?
Dove è adagiato esattamente il relitto?
Dove sono i poveri corpi dei dodici che mancano?
Tutti interrogativi
che la Commissione d’inchiesta sommaria dovrà cercare di sciogliere,
basandosi per lo più sulle poche e confuse parole di un giovane
cameriere di bordo che dormiva nella sua cuccetta, quando qualcuno,
che è morto, lo ha scosso dicendogli: «Vieni fuori, qui ci lasciamo
la pelle tutti quanti!».
Dino Sanna |