Venezia, 19 gennaio
Ancora una tragedia
del mare, che ci tocca da vicino. Gli uomini del «Fusina» erano
tutta gente di casa nostra: veneziani, chioggiotti, sottomarinanti,
triestini, «lavoratori del mare» che trascorrono gran parte della
loro vita lontano da casa, su acque spesso infide, in balia delle
forze irresistibili della natura.
Che cosa li ha
traditi? Un carico mal sistemato nella stiva, che un’ondata più
forte delle altre ha fatto paurosamente sbandare; uno scoglio
appuntito o un relitto? O l’impossibilità di essere ascoltati mentre
invocavano aiuto via radio e la nave lentamente affondava? Nel
racconto dell’unico superstite si parla del carico che si è mosso
nella stiva, ma Ugo Freguja ha narrato anche che il marconista ha
lanciato due volte l’SOS, che sono stati sparati i razzi, gettate in
acqua le polveri fosforescenti; gli uomini in pericolo hanno dunque
chiesto aiuto, ma erano in una «zona d’ombra», attraverso la quale i
messaggi radio non riescono a passare, e dalla costa nessuno, nella
sera avrà visto il lampo di quei razzi. La «zona d’ombra» può
giustificare tante morti?
Soli, paurosamente
soli, gli uomini della "Fusina", a due passi dalla salvezza. Perché?
E’ possibile (e lo
chiediamo ai tecnici, a coloro che hanno nelle loro mani la vita
degli uomini del mare) che oggi non si riesca a rimediare alle
difficoltà di una zona d’ombra, magari installando un ripetitore?
Eppure ci risulta che nella stessa zona, sempre battuta dal vento, i
naufragi non sono infrequenti.
Soli, gli uomini
della «Fusina» con la nave che imbarca acqua perché il carico,
incompleto, bagnato (come racconta il superstite) è stato più forte
delle paratie.
Ecco una possibile
causa del naufragio.
E allora ci si
chiede perché la nave sia salpata con il carico non sistemato
secondo le regole che certamente sono molto severe.
Diciotto uomini
sono morti perché una nave è affondata a poche miglia dalla costa:
uno solo si è salvato ed ha fornito una prima versione, con ancora
negli occhi l’incubo di quelle ore terribili, con negli orecchi le
urla dei suoi compagni.
Sembra di leggere
un romanzo d’avventure, con un naufragio di un veliero: eppure è
cronaca di venerdì scorso. Di venerdì scorso, ripetiamo: e della
sciagura si è saputo soltanto domenica sera, tardi. Ecco un altro
perché. Il naufragio è avvenuto vicino alla costa, la nave era
partita da poco ma sabato nessuno ha saputo niente. Si è dovuto
scoprire il naufrago, domenica, per avere la notizia e ieri mattina,
lunedì, il compito triste di avvertire qualche famiglia, è toccato
ai nostri cronisti: nessuno lo aveva fatto prima, e non tutti
avevano visto il telegiornale.
Siamo nel 1970, in
un’era in cui le comunicazioni, a tutti i livelli, conquistano
primati di giorno in giorno. Vediamo, in diretta, il primo uomo che
scende sulla luna, ma non riusciamo a pochi chilometri ad ascoltare
l’appello disperato di una nave che affonda.
Sandro Rizzi |