Brilla il tuo
sguardo simile a una stella,
a cui s'inchina ogni intelletto umano. ...
... Cerco il tuo amor che plasma e che risana
questa mia piaga che a lungo mi strazia
O bella, o cara, del mio cor sovrana.
Da: "Alla
sovrana del mio cuore", di Alfredo Napoleone
Il sole
splendeva nel ciclo limpido. L'acqua del mare quel mattino
riluceva d'un grigio argenteo, con movimenti appena
percettibili. L'aria era frizzantina come spesso lo è in
pieno inverno, ma i raggi del sole non le permettevan
d'esser pungente. Chi si trovava per strada provava quella
sensazione di piacere che si prova unicamente quando la
natura si dimostra amica, avvolgendoci piacevolmente con i
suoi colori, i suoi profumi e i suoi suoni.
Coloro che
vivono in un paese sul mare conoscon bene queste sensazioni;
ma ogni volta che il tempo è benevolo, il piacere d'esser
vivi e di percepire il mondo si riassapora come fosse la
prima volta.
I gruppi di
ragazzi e ragazze erano sparsi per tutta la grande piazza di
Carloforte e le risa, le grida e il rumore dei loro passi
veloci si fondevano in un'unica sensazione di festa.
Come ogni
diciassette di gennaio, l'isola festeggiava l'arrivo del
Carnevale.
Tutte le
vie del paese eran percorse dai giovani che passavano da una
bottega all'altra, carichi di buste piene di provviste; le
provviste che di li a qualche ora si sarebbero trasformate
in un tradizionale pranzo rurale.
— Hai
comprato il vino? — chiedeva uno.
— No, ne portiamo un po' di quello di proprietà, che è
migliore — rispondeva un altro.
In un'altra
via, un gruppo di ragazze euforiche correva, dopo aver
incontrato gli amici che avevan loro promesso di andarle a
trovare non appena finito di pranzare.
Poche
traverse più in là, un gruppetto discuteva animatamente:
— Avevi
detto che saremmo andati nella tua baracca a Calalunga!
— Cosa vuoi che ti dica, se ci deve andare mio padre che ha
da fare nella vigna?
— Forse possiamo andare da me allo Spalmatore — aggiungeva
un terzo.
Ma quella
discussione sarebbe di li a poco scemata e tutto si sarebbe
risolto, lasciando il posto all'allegria.
Il luogo
più affollato del paese era la piazza, come in tutte le
occasioni. Alcuni eran seduti sulle panchine del lungomare;
altri s'incanalavano nel corso, fino ad arrivare alla piazza
dai quattro "sedili rotondi", all’interno di ciascuno dei
quali si erge un maestoso albero ombroso, dalle lunghe
ramificazioni; quasi fossero lì per osservare i movimenti
umani nel lento ed inesorabile fluire del tempo.
Quante
festività, quanti sentimenti e quanti problemi avevan
lambito le loro foglie nel corso degli anni.
Sotto la
loro ombra, seduti sui freddi sedili in ferro un po'
contorti, alcuni vecchi contemplavano tanta, festa; chi
appoggiato al bastone, chi chiacchierando del più e del
meno, chi osservando compiacente le forme aggraziate di una
giovane che passava.
Un "can da
maina" (come vengono chiamati i cani che bazzicano la
marina) passava scodinzolante, con filosofica indifferenza.
Franco
passeggiava con gli amici, Bastiano usciva dalla sala del
biliardo. Antonio entrava dal tabaccaio per comprare le
sigarette.
Renzo
usciva dalla biglietteria e si dirigeva verso il traghetto
in partenza per l'isola madre. Altri, che per una ragione o
per l'altra, non partecipavano ai preparativi per la
scampagnata, ne erano spettatori, ma anche costoro vi
avevano partecipato molte altre volte, in precedenza.
Uno di
questi spettatori, Franco, era colpito in modo particolare
dalla festa intorno.
I
lineamenti del volto dolci e regolari, contrastati da
qualche capello bianco e qualche ruga, non rendevano facile
indovinarne l’età. Ad ogni modo, era evidente che da tempo
non era più un ragazzo.
La morte
precoce della moglie, avvenuta pochi anni prima, l'aveva
segnato non poco. La solitudine che aveva dovuto imparare ad
accettare ne aveva modificato il carattere, un tempo
gioviale ed esuberante, ora pacato e malinconico.
Con due
amici, egli stava percorrendo il corso discorrendo di quegli
argomenti di cui spesso si fa uso quando ciò che conta non è
quel che si dice, ma è fare una passeggiata in compagnia di
qualcuno.
Una
chitarra intonava dei semplici accordi e le parole che li
accompagnavano perdevan il loro significato esplicito e
parevan dire:
— Siamo
noi. Siamo qui. Ci vedete?
Franco si
sentiva ferito da tutta quella vitalità, come da qualche
tempo nulla l'aveva ferito. Troppe volte aveva partecipato
anche lui a questa festa assieme a Rosa per potervi passare
affianco senza che i ricordi riaffiorassero dolorosamente
nella loro irripetibile bellezza.
Annuiva
mentre gli amici parlavano. La chitarra, non lontana
continuava a suonare. I rumori, i colori dei ragazzi e tutto
lo riportavano indietro ad un passato che oramai solo al
passato appartenere poteva.
Con gli
altri era giunto in prossimità dei sedili rotondi. Vide una
ragazza venirgli incontro sorridente. Si sentì caldo in viso
e si fermò. Davanti a se Rosa gli veniva incontro
sorridendo.
Fu un
attimo.
La ragazza
gli passo affianco ignara dell’emozione che aveva suscitato
in lui.
Gli amici
si accorsero che qualcosa era successo e, prima che di
potergli chiedere se ci fosse qualche problema, Franco disse
loro che voleva riposarsi un poco su di un sedile e che li
avrebbe raggiunti dopo poco.
Seduto
nella piazzetta, seguì con lo sguardo la ragazza che si
allontanava e ripensò al momento in cui la sua immagine si
era tramutata ai suoi occhi in quella di Rosa.
Ed ecco che
Rosa gli dava la mano e insieme agli altri amici camminavano
lungo la salita che conduce al campo sportivo, per poi
proseguire verso Guardia dei Mori e poi ancora fino a Punta
delle Oche.
La chitarra
suonava e tutti in coro cantavano:
— Giobelà,
fratelà, l'è u dissette de zenà.
Lentamente
si lasciavano alle spalle il Canale del Generale, al di
sotto dei ripidi tornanti che la strada faceva sul finire
della rampicata.
La casa di
campagna di Carlo li attendeva a Guardia dei Mori per essere
invasa dalla loro esultanza e dalle loro risa.
Fu una
giornata indimenticabile. Lei era seduta al suo fianco a
tavola e il suo sguardo d'intesa, deciso e dolce sarebbe
bastato da solo a riempire tutta la casa anche nella
solitudine.
Uno degli
amici si apprestò, posandogli una mano sulla spalla:
— Noi
andiamo a casa. Tu che fai?
Tornò in se.
— Si. Vado anch'io — rispose un po' confuso.
I gruppi di
ragazzi stavan lasciando il paese incamminandosi ciascuno
per la propria strada.
Separatosi
dagli amici, Franco si diresse verso casa.
Davanti a
lui, uno degli ultimi gruppi di giovani ancora in giro si
avviava ad uscire dal paese, voltando in Salita Santa
Cristina, quella che conduce a Guardia dei Mori, la stessa…
Con un
lieve sorriso nostalgico sul volto, Franco li seguì con lo
sguardo fino a quando, giunti ai piedi delle scale del
Castello, voltarono.
Poi alzò lo
sguardo verso il balcone della casa che gli stava di fronte,
si voltò e riprese la strada verso casa.
Il paese
era silenzio.
15 ottobre
1988 |