Quello
che è accaduto nell’ultima settimana di
febbraio 2006 a Carloforte ha assunto i
toni dell’epopea.
Ad opera di un comitato spontaneo
“Riprendiamoci il Carnevale”, nel quale
i commercianti carlofortini hanno avuto
il ruolo di protagonisti, si sono
rivissuti i fasti del tradizionale
carnevale isolano.
Sembrava ormai impossibile poter
rivivere le atmosfere dei
racconti sul carnevale del passato;
sembrava che quel modo di divertirsi, di
festeggiare, di svagarsi appartenesse al
malinconico album dei ricordi in bianco
e nero: invece i fatti hanno smentito le
impressioni e il re di Carloforte,
Carlevò, è tornato sul suo trono,
despota più che mai, nell’annunciare
giornate di puro divertimento cui tutti
hanno dovuto ed hanno voluto
partecipare.
Gli sfumati colori delle immagini color
seppia, hanno ripreso colore, si sono
animate, hanno assunto voce, quella
tipica voce in falsetto delle maschere
nostrane.
Il
fermento è cominciato circa un mesetto
fa, quando fra una riunione e l’altra si
andava definendo un programma veramente
interessante, soprattutto in relazione
all’ultima edizione fantasma del
carnevale 2005.
Alla notizia della sfilata del giovedì
grasso, una vera ciurma di mamme
incassìe partono per Cagliari a
comprare i tessuti per i costumi dei
bambini. Motocicli, motocarri e vespe
sono ben addobbati per l’occasione e la
sfilata parte nel primo pomeriggio di
giovedì, fra ali di folla.
Fu solo l’inizio si potrebbe dire….
Da
venerdì a domenica mattina in molte case
carlofortine ci si prepara al
matrimonio; ma nonostante sia una
mascherata l’atmosfera è quella di un
vero sposalizio. Si cerca qualsiasi
pezzo d’abbagliamento adatto alla
cerimonia: giacche, cappelli, pellicce,
veli, cravatte e bombette, spezzati e
vestiti sgargianti. Càntie e armoi
sun in rivulusiun (sottosopra) esce
fuori di tutto, l’odore è quello genuino
della naftalina e della canfora per
annientare i pecétti.
Ci si organizza in veri gruppi e a
quanto pare qualche famiglia organizza
un viaggiu de int’America, per
partecipe alle nozze.
La
domenica mattina girando per le vie del
paese è facile incontrare persone
affrettate con pacco di paste in una
mano e borsone stracolmo nell’altra.
Partono?
No! Vanno solamente a prepararsi per il
pomeriggio.
Il tempo non è dei migliori, minaccia
pioggia, la frase più comune:
sperémmu ch’u l’aréze (speriamo che
regga il tempo)
Nel primo pomeriggio d’improvviso dai
vicoli cominciano a spuntare strani
personaggi, uomini e donne, tutti
agghindati, e festosi. Piccoli gruppi di
invitati con i piedi già doloranti per
le scarpe “nuove”, escono dalle case e
nell’incontrarsi danno vita a vere e
proprie scenette teatrali: era da tempo
che si attendeva che ciò accadesse e le
maschere o i sacchetti monotoni
nell’espressione fissa trapelano vivida
soddisfazione dagli occhi di chi sta
sotto.
Si
avviano velocemente i punti d’incontro:
d’a Purtetta per i parenti della
sposa e d’a Cruxe du Gallu per
quelli dello sposo.
Per chi ha potuto osservare salita Santa
Cristina verso le tre e mezzo del
pomeriggio non ha potuto che
sorprendersi: circa duecento maschere
attendono la sposa. Han tiàu u
sciabeghéllu grida qualcuno, la
scena è veramente esilarante.
Stesso quadro alle Casinee dallo sposo.
La cronaca di quanto segue rientra nei
canoni delle tradizionali nozze locali,
sotto l’incessante minaccia della
pioggia: i singoli cortei degli sposi,
l’incontro, l’unico corteo, la
celebrazione delle nozze in piazza
Repubblica e la festa in piazza, dove
non sono mancati dolci e balli per
tutti.
Un'unica nota stonata, temuta da tutti:
un leggero baixin noiusu
(pioggerellina noiosa), che sembrava
dire nu ingüsteveghe tróppu che ghe
n’è ancun (non appassionatevi troppo
che ce n’è ancora) ha costretto una
rimpatriata in anticipo delle maschere.
Ed in effetti non finisce qui… avrebbe
detto un noto presentatore.
Un lunedì piovoso sembra non promettere
nulla di buono, ma il Carnevale ha
deciso che la festa sarebbe stata
completa. Infatti, il Martedì , l’ùrtimu
giurnu de Carlevò, l’atmosfera è
quella della domenica precedente,
cambiano solo i colori, il nero
predomina: émmu da purtò via u
Carlevò (dobbiamo fare il funerale
del carnevale).
Il Carnevale, regale sul suo trono esce
dal Cavallera ed una lunga fila di
maschere in nero lo seguono invitate
dagli alti prelati all’esternazione del
loro dolore.
Il corteo attraversa tutto il paese ed
il lamento delle maschere fa aprire
tutte le imposte e le porte di casa:
eccolo è lui, è qui la causa dello
spasso di questi giorni, ma il suo tempo
è finito, andiamo a buttarlo a mare, la
vita deve riprendere i suoi ritmi
abituali.
Il
“mesto corteo”, che di triste ha
veramente poco, si avvicina al lungomare
sale sulla banchina e si ferma per un
ultimo saluto del popolo della maschere
al loro sovrano.
Benedizione del vescovo commiato delle
consorelle e delle maschere ed il coro
sale prima indistinto per diventare in
pochi istanti corale:
Carlevò, Carlevò ghe ne daiemu ‘na bótta
‘n mò…
Il
Carnevale sembra sogghignare:
Buttatemi pure a mare, tanto sono
tornato e vi ho fregato nuovamente
tutti.
Poi si fa serio e pensa:
Ma in otru’annu cumme all’aniò?
Qualcuno risponde:
In otru annu mégiu.
Il re è a mare. La festa è finita? No,
vanno tutti a ballare per esorcizzare
per l’ultima volta, per questo
Carnevale, la routine del quotidiano.
Nei
giorni successivi i commenti
entusiastici non si contano, qualcuno, è
d’obbligo, fa degli appunti, su ciò che
sembra non abbia funzionato.
Una sola nota accomuna tutti:
Nn malcelato sorriso trapela la vivida
soddisfazione per un’impresa che
sembrava impossibile, in tutti è viva la
sensazione:
CI SIAMO RIPRESI CARNEVALE!
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