Eventi di attualità di ieri e di oggi su Carloforte e l'Isola di San Pietro

 

Galleria fotografica "Jolly Rubino"

    Carloforte, mercoledì 18 settembre 2002
 
 Salvati da un elicottero due marinai carlofortini del cargo "Jolly Rubino"
 

Gianni Rivano e Cesare Aste raccontano l’odissea sul cargo in fiamme nell’oceano Indiano: "Siamo sopravvissuti a un incubo"

LA STORIA:
Il cargo "Jolly Rubino" era in navigazione da Durban. Destinazione Kenia, Africa orientale. Poco dopo le 19.30 di martedì 10 settembre, la sala motori della nave che trasportava materiale infiammabile ha preso fuoco per motivi ancora da accertare. L'equipaggio, di ventidue italiani, non è riuscito a domare l'incendio. Viste anche le pessime condizioni meteomarine, il comandante ha dovuto ordinare l'abbandono della nave. A soccorrerli, con più viaggi, un elicottero di pronto intervento sudafricano. Alla fine di i ventidue componenti dell'equipaggio del cargo sono stati tratti in salvo e hanno potuto fare ritorno a casa.

L’INCENDIO:
Dalla sala macchine il rogo si è diffuso in fretta in tutti i locali della nave.

SALVI:
"Nessun eroismo. Siamo rimasti uniti fino all'arrivo dei soccorsi".

CARLOFORTE:
«Qualche istante dopo che l’elicottero si era alzato portando in salvo gli ultimi uomini, dalla prua della nave in fiamme sono esplosi alcuni fusti: un piccolo ritardo e sarebbe stata una tragedia». 

Con gli occhi sperduti ancora nella tempesta, il carlofortino Gianni Rivano, 49 anni, direttore di macchine del cargo “Jolly Rubino” ricorda con emozione quegli istanti, quando la nave ha preso fuoco al largo delle coste sudafricane, provocando un serio allarme ambientale in un’area di grande pregio naturalistico (l’imbarcazione trasportava 280 container, prevalentemente carichi di vernici e altre sostanze chimiche).

Ora che è a casa, circondato dall’affetto dei suoi congiunti, Rivano può ripensare con calma alla notte d’incubo trascorsa in mezzo al fumo denso come una cappa di piombo, lamiere arroventate, fiamme ovunque.

Anche per il suo primo ufficiale, il carlofortino Cesare Aste (47 anni), che è sempre stato al suo fianco, è tempo di riposarsi e di controlli medici.
«Con tutto quello che abbiamo respirato non si sa mai», commenta.

Lui è stato il primo a dare l’allarme: ricorda ogni secondo di quel drammatico 10 settembre. Il mare minacciava tempesta ed era a forza nove, le raffiche di vento raggiungevano i 130 chilometri all’ora.

Aste ricorda: «Mentre stavo per concludere il mio turno di guardia, c’è stata una sbandata più forte delle altre e si sono sentiti dei rumori in coperta». Quando dalla “control room” ha dato un’occhiata per vedere se non si fosse sganciato qualche contenitore, ha visto delle fiamme partire dal cilindro numero sei del motore di sinistra.
«Mi sono girato un attimo per prendere l’estintore, ma subito dopo il fuoco si era propagato per tutta la sala macchine, invasa di fumo nero», spiega. In quel momento si sono spenti i motori e la nave è rimasta in balia dei marosi. Così, direttore e primo ufficiale si sono diretti alla sala CO2 per inondare con la schiuma antincendio la zona dei propulsori. Attimi frenetici e concitati, anche perché si stava cercando di capire la causa dell’incendio, a tutt’oggi ancora sconosciuta.

Quando i due sono arrivati in plancia, si sono trovati davanti una scena terrorizzante.
«Dalla tromba dell’ascensore di carico si vedeva arrivare il fumo, e così non c’è rimasto altro che pianificare l’abbandono», dice Cesare Aste. Di lì a poco, anche il garage era in fiamme.

«Sin da subito ho capito», precisa Gianni Rivano, «che l’incendio era troppo esteso. Il fumo era quasi ovunque e non ho potuto neanche tentare di versare altra anidride carbonica in garage perché non riuscivo a respirare».

Lo stesso direttore, un paio di volte, tenendosi alla ringhiera della nave scossa dal fortissimo vento, ha fatto la spola tra sala macchine e plancia.

Il comandate della nave Claudio Franzetti, prima ha deciso di prendere la lancia d’emergenza, poi Rivano lo ha convinto della pericolosità di quella scelta. Aste chiarisce: «Prima di scendere a mare, la lancia di dritta - l’altra neanche si vedeva per il fumo che l’avvolgeva - si sarebbe sicuramente spezzata sbattendo sulla carena della nave». Così si è optato per radunarsi prima a prua, poi a centro nave.
Lì, i 22 uomini dell’equipaggio, stretti l’uno con l’altro si sono sentiti perduti: la nave era senza controllo, tempestata da vento e onde, presa d’assalto dalle fiamme.
«A bordo c’era chi diceva: e qui chi ci viene a salvare?», commenta Aste.

Nel frattempo era arrivata una nave. Ma poiché trasportava anch’essa materiale infiammabile, non poteva avvicinarsi più di tanto. Così dopo l’Sos lanciato dal comandante, è arrivato l’elicottero di salvataggio.

«Quando l’abbiamo visto, è stata una liberazione - commenta il primo ufficiale che aggiunge - Non potremmo mai ringraziare abbastanza i tre piloti, sono stati eccezionali».

Gianni Rivano precisa: «Abbiamo pianificato con il comandate di far sbarcare per primi gli allievi, che erano veramente molto tesi, e i marittimi più vecchi, poi è stato il nostro turno».

Arrivati in Sud Africa verso le 22, sono tutti ritornati a casa sani e salvi.
«Atti eroici non ce ne sono stati, meglio così: siamo rimasti tutti uniti sino all’arrivo dei soccorsi».
Hanno mantenuto la calma e rincuorato i compagni in quei momenti drammatici: un bell’esempio di coraggio anche questo.
 

 Duecento tabarchini in giro per il mondo sui colossi del mare
 
Comandanti, ufficiali, direttori di macchine, semplici marinai. La tradizione dei marittimi carlofortini in giro per il mondo è lunga e gloriosa e resiste anche oggi, in tempi di magra per la navigazione.

Nei primi decenni del 900, almeno la metà dei giovani faceva il navigante. Oggi, sono almeno duecento i tabarchini che lavorano su petroliere, “chimichiere”, porta-container. Ultimamente c’è stato anche un notevole incremento di ufficiali in servizio nelle navi passeggeri e da crociera.

La “Jolly Rubino” è, invece, una porta-container “ro-ro” della compagnia ligure “Ignazio Messina & C.”. Trasportava circa 370 contenitori di merce varia, compresi alcuni prodotti chimici come vernici e diluenti altamente infiammabili, oltre a alcuni trattori, auto, circa 1.700 tonnellate d’acciaio in rotoli, 1.100 tonnellate di fuel oil, 200 tonnellate di diesel oil e 50 tonnellate di luboil per la propulsione della nave.

Battente bandiera italiana, di 29 mila tonnellate di stazza lorda, lunga 130 metri, la nave è stata costruita alla fine degli anni settanta.

Era in navigazione da Durban, in Sudafrica, verso Mombasa, in Kenya. Fama sinistra quella che l’accompagna. Assaltata dai pirati durante la crisi fra Iran e Iraq, bloccata nel 1994 presso il porto di La Spezia con un carico pericoloso (cesio radioattivo), nel 1998 fu protagonista di un altro incidente: un giovane portuale morì stritolato a Genova durante le operazioni di carico. Ora, l’incendio nell’Oceano Indiano con l’incognita di un possibile disastro ambientale.
 


[Torna ad inizio pagina]


Per inviare una e-mail alla redazione di "I fatti" clicca qui sotto

 
     

Dal 06.09.2001

 
       

 

 

 

   

Inviare al Webmaster una e-mail con domande o commenti su questo sito web