CARLOFORTE
Da trent’anni guarda il mare e non si è ancora stancato.
Anzi: da quella finestra del faro che domina Capo Sandalo, Bruno
Colaci, il guardiano, scopre ogni volta un’occasione per
contemplare la sua perfetta solitudine, accompagnata da quel
fascio di luce che significa scogli e terra, pericolo e salvezza.
Nato
a San Remo 61 anni fa, aveva il destino segnato: il padre faceva
il suo stesso mestiere.
Finito il militare, Bruno partecipa a diversi concorsi, e passa
proprio quello per diventare guardiano, o più precisamente «reggente».
Come dire: novello atlante che regge da solo il faro.
Colaci
lavora in Sardegna, in Puglia, e poi, nel 1972, arriva
sull’isola di San Pietro dove conosce la donna che diventerà
sua moglie. Dopo una breve parentesi a Genova nel 1982, nella
mitica «Lanterna», è di nuovo a San Pietro. I primi anni di
lavoro sono i più duri.
Racconta Colaci: «Mancava molto il rapporto umano, dovevamo
vivere per mesi dentro il faro, che ospitava tre famiglie al
completo». Dentro, c’era tutto il necessario, anche un forno
per fare il pane. «Quando i miei due bambini (maschio e femmina)
hanno cominciato a frequentare le scuole», continua Bruno, «sono
dovuti rimanere dalla nonna materna». Al faro, le responsabilità
erano tante: «si doveva azionare manualmente un meccanismo a
molla che garantiva la rotazione della luce, e l’elettricità
era fornita da potenti gruppi elettrogeni che dovevano essere
mantenuti sempre in perfetta efficienza».
I
problemi? Soprattutto con il «generale» inverno: «i fulmini
hanno più volte danneggiato lo stabile, per fortuna senza danni
alle persone».
E racconta: «Giusto qualche anno fa, la notte di natale, eravamo
tutti riuniti davanti al televisore, quando ne è arrivato uno che
ha fatto saltare il televisore».
Con
l’avvento dell’elettronica, anche il faro si è dovuto
aggiornare e, per fortuna, gli impegni si sono ridimensionati,
tanto che Colaci ora ha una casa in paese e molto più tempo
libero. Peccato non sappia cosa farsene: la sua esistenza è
cifrata da quella solitudine che l’ha segnato per trent’anni.
Così, anche quando non è necessario, lui rimane molte ore lassù,
isolato a più di sette chilometri dal centro abitato.
Si potrebbe azzardare, se mai fosse possibile, che ha assunto il
«carattere» del faro.
Alterna lunghi silenzi a poche parole che però ti lasciano dietro
una scia di pensieri, un po’ come il faro: si illumina per un
attimo e poi tutto ripiomba nel buio.
Come
ha fatto Colaci a passare i tempi morti, quando la prima parola
che ti viene da dire è noia?
La risposta è, in parte, sul tavolo: qualche libro, e le parole
crociate consumate avidamente. A fare compagnia, ogni tanto, una
selva di gatti: «aspettano che esci e gli porti il pranzo», e
poi, nella più schietta tradizione felina, chi s’è visto s’è
visto.
Il resto, tante riflessioni che si perdono nell’immensità della
natura, come la vista quando su, in alto, contempla il mare che si
fonde nel cielo in un blu interminabile.
Così,
giunti sulla vetta del faro, la fatica dei 124 scalini a
chiocciola è ripagata dallo spettacolo di una bellezza
struggente. Lassù quasi non ci si sente, perché il vento è cosi
forte che mugghia come un ossesso e il ventre cavo del cilindro su
cui poggia il faro non fa altro che amplificarne il soffio
adirato.
Bruno
Colaci, quando mostra le stanze dove alloggiavano le famiglie,
parla del degrado in cui versa l’edificio, che da quasi un
secolo e mezzo deve sopportare l’assalto di vento, pioggia e
sale. Le crepe, profonde, lo solcano ovunque, e testimoniano di
come il gigante solitario e malato, testardo e orgoglioso resista
agli assalti.
E
Colaci si lamenta per il suo vecchio amico. Lui che negli anni lo
ha sempre accudito, lucidando anche tutti i manovellismi in
ottone.
«Proprio l’anno scorso», racconta orgoglioso, «mi sono
poggiato per bene e ho tinteggiato tutta la volta della cupola».
Da
là sopra, Colaci, vero amante della natura, mostra l’«orrido»,
uno strapiombo da incubo nelle cui insenature si annida e nidifica
il falco della regina, rapace protetto che giunge dal Madagascar:
lo si può ammirare mentre vola libero, come l’anima di Colaci.
Lui
andrà in pensione nell’ottobre del 2005, poi per il guardiano,
non si sa.
Forse, non ci sarà più nessuno ad ammirare e amare,
silenziosamente, l’infinito.
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