Mio padre
mi diceva sempre che a Carloforte tutto è speciale,
perché a volte ti svegli con la bonaccia e dopo un'ora
il maestrale furibondo spazza l'isola fino alla costa
opposta; perché ci si saluta tutti, con grandi feste e
tanto chiasso; perché ogni volta che guardi Carloforte
dal mare, pensi che sia sempre diversa, non c'è,
infatti, un altro posto dove il verde si mostra in tutte
le sue variazioni e si insinua tra le crepature degli
strapiombi, offrendosi come casa sicura ai conigli più
piccoli di Sardegna e ai falchi più curiosi del
mediterraneo.
Perché a Carloforte l'odore del "savergu"
ti riempie l'anima di ricordi atavici, di genti che
hanno conosciuto le tempeste e la fame prima di arrivare
esauste a toccare finalmente terra, di uomini che hanno
visto arrivare e partire così tante facce da imparare a
non affezionarsi a nessuno, ma ad accogliere tutti con
gioia e a volte diffidenza, memori del proprio passato
di oppressi.
A Carloforte i vecchi parlano poco e sanno
storie che fanno invidia ai più famosi letterati e
stanno seduti al fresco dei carruggi, chi a cucire reti,
chi a intrecciare nasse, con la faccia arsa dalla
salsedine di tutta una vita passata in mare. Un mare che
da e che toglie, che si prende gli spazi tolti e che
stringe l'isola di S. Pietro in una solitudine che la
protegge dai ritmi degli altri, dalla lingua degli
altri, dalle mode degli altri, e la lascia unica ed
inimitabile.
Mio padre, come tutti i Carlofortini, è
tornato alla sua terra per il suo ultimo viaggio, perché
di Carloforte e dei suoi abitanti si dicono tante cose,
a volte false, ma in pochi sanno che, nell'isola dei
tonni e del corallo, delle "casciandre" e delle serenate,
tutto diventa speciale. |